M5s e Conte, fine del “grillismo” in Italia? C’è uno spazio a sinistra, grazie alla svolta a destra del Pd.
L’Italia è l’unico Paese al mondo che ha spazzato via i principali partiti per via giudiziaria. Casaleggio e Grillo hanno pensato di sostituire i partiti con una “piattaforma” informatica. Non si doveva più perdere tempo per formare una classe dirigente. Per prendere voti bastava scatenare l’istinto più atavico che sta alla base di ogni rivoluzione: l’odio verso il “sistema”.
Quando una società è immobile, sclerotizzata e inesorabile, con la rivoluzione può diventare fluida e meritocratica: chiunque può raggiungere il vertice. Se la società tarpa le ali ai migliori, grazie alla rivolta popolare emergono spesso le qualità soffocate e latenti; i più meritevoli possono pretendere il giusto posto nella società.
Tuttavia, il garzone di bottega può diventare padrone solo se possiede i requisiti necessari per gestire l’azienda, altrimenti è destinato al fallimento. i 5 Stelle erano privi di scheletri negli armadi perché non avevano un passato, non si erano mai “sporcati le mani” negli affari, nelle professioni o nella politica.
La filosofia fondante del M5s
La loro principale virtù era l’inesperienza: è stato come affidare la guida di una Ferrari a chi non ha sostenuto l’esame di patente. Non s’era mai vista una rivoluzione così radicale e sgangherata: Grillo ha trasformato l’uomo della strada in uno statista illuminato, un venditore di bibite in un ministro degli esteri.
Solo che l’attività di governo è possibile in modo limitato al non competente, perché il burocrate “stanziale” finisce per prendere il sopravvento. Ne è stata una riprova il caso del Guardasigilli Bonafede, che aveva alzato il livello del giustizialismo ai danni della classe produttiva, affidandosi ai programmi di “Magistratura democratica” e distaccando al ministero giudici di quell’area. Il grillino Bonafede è stato semplice portavoce di questi magistrati.
La falsa rivoluzione grillina era tuttavia anacronistica perché la potenza dominante da “scrollare” non era più la classe politica, bensì quella del tecnocrate e dell’uomo dell’organizzazione. Una “sana” rivolta sociale avrebbe richiesto il ridimensionamento delle burocrazie di carriera e di quelle togate, che dettavano i ritmi dell’economia e dei servizi pubblici.
Rivoluzione mancata
Il “motto” rivoluzionario doveva essere: “buttiamo a mare i legulei”. Invece, Grillo ha imbarcato un individuo raccolto per caso, che si era autoproclamato “avvocato del popolo” ma si era alleato con la parte più conservatrice della “Mano Pubblica” che ha sempre fatto pagare alle masse i costi della propria inefficienza.
Conte è diventato il paradigma dell’uomo politico tradizionale: sempre guardingo e circospetto, che agisce con gli amici come se potessero trasformarsi da un momento all’altro in avversari, un tessitore di intrighi che ha sempre bisogno di instabilità sociale. Un uomo dotato di ego spropositato che gli ha consentito di formare due governi successivi con forze politiche agli antipodi. Se avesse fatto la carriera ecclesiastica, non si sarebbe certo accontentato di diventare cardinale. Egli ha partecipato alla spartizione del potere al pari di qualsiasi democristiano di vecchio conio.
Conte ama il potere come un musicista ama il proprio violino; per quanto nella polvere, non accetta di amalgamarsi nel “campo largo” finché non riceverà garanzie di rientrare nella stanza dei bottoni. Spera di essere l’ago della bilancia nella formazione di futuri governi (di qualsiasi colore politico), adottando gli stessi metodi dei “cespugli” della Prima Repubblica. Il governare non gli ha certo procurato fama imperitura.
Quanto all’etica grillina, esiste una legge immutabile che si applica ad ogni organizzazione religiosa o laica: vai al potere agitando la morale e ti estingui per averla tradita. Del resto, i partiti italiani della Seconda repubblica che avevano preso il potere all’insegna di “Roma ladrona”, lasciarono ben presto tracce visibili di finanziamenti illeciti alla politica.
Tutti i “movimenti” attraversano il ciclo iniziale in cui regna l’entusiasmo della democrazia diretta, fino ad arrivare alla fase in cui dominano gli “amministratori” per via delegata. Alla lunga le forze terrene prendono il sopravvento e chi acquista una posizione tende a perpetuarla tradendo gli ideali iniziali.
Le fughe dal gruppo si erano manifestate fin dall’origine. I 5 Stelle, avevano introdotto un risarcimento economico a carico dei transfughi che non volevano rinunciare a parte degli appannaggi; ma ignoravano che tale previsione era contraria ai principi costituzionali. La richiesta di rispettare il limite dei due mandati ha innescato la controrivoluzione e gli “uomini qualunque” d’un tempo hanno trasformato il movimento in partito.
Sono volati gli stracci e i coltelli; Grillo ha combattuto fino in fondo per conservare un appannaggio da nababbo, al punto di pretendere la “morte” della propria “creatura”. Per realizzare la metamorfosi, si è fatto a meno della piattaforma Rousseau.
Tale piattaforma tecnologica non è stata uno strumento democratico come si voleva far credere. Ammettiamo che si realizzi un sistema informatico che consenta a tutto il popolo di esprimere in tempo reale il proprio voto su ogni questione di governo.
Diamo per scontato che esista un miracoloso software in grado di evitare brogli o voti di scambio organizzati; che non sia ammessa neppure la manipolazione mediatica di opinionisti di ogni ordine e grado, di influencer al soldo di potenze straniere. E che dunque l’espressione del voto sia genuina.
Potremmo forse concludere di avere realizzato una democrazia compiuta perché l’intero popolo è messo nelle condizioni di cliccare il proprio voto? Una civiltà di questo tipo non può superare la dimensione del villaggio contadino, perché la massa dei “cliccanti” ignora la materia trattata per cui è chiamata a decidere. La piattaforma di Casaleggio era dunque un bluff al pari delle barzellette di Grillo.
La fine del grillismo inteso come movimento mirato a distruggere una classe dirigente senza proporne una nuova adeguata ai bisogni collettivi, si deve anche al fatto che le soluzioni populiste e predatorie lasciano segni pesanti nei bilanci statali. I partiti che si appellano alla “giustizia sociale” per realizzare interventi pubblici, aumentano l’”antagonismo sociale”, allorché le risorse destinate sono poste a carico di categorie economiche che si ritengono danneggiate. Ed è stata proprio questa la storia del “reddito di cittadinanza”, contestato dalle partite Iva.
Una volta dissacrata la spinta etica del movimento e dell’attuale partito, cosa resta del grillismo? Resta un’organizzazione del dieci per cento guidata dall’uomo forte che cerca di differenziarsi dalla destra, dalla sinistra e perfino dal centro. Ad una maschera comica capace di forti aggregazioni popolari si sostituisce un avvocato che unisce per via di interessi economici personali.
Senza una struttura, dopo un certo periodo il movimento si estingue; il tentativo di catturare movimenti spontanei in via di disfacimento da parte dei gruppi organizzati costituisce del resto un’attività abbastanza frequente nel panorama politico generale. Sono altrettanto frequenti i casi di piccoli gruppi aggregati sulla base di valori comuni, ceduti da qualche leader che ne ricava vantaggi mercantili. Grillo voleva forse vendere il movimento, Conte se ne è impadronito a prezzo zero.
Quanto poteva valere sul mercato il gruppo grillino? Il valore dipende dalle prospettive elettorali perché il movimento non alza vessilli, non fornisce manovalanza significativa nei cortei, si limita a cliccare. E’ sempre Conte che detta la linea sui palestinesi, la guerra in Ucraina, la Russia, Trump, che indica la linea ai suoi seguaci che divulgano il verbo del Profeta senza alcuna dialettica interna. Ma tutto ciò non porta voti: la forza di Conte resta nel grillismo delle origini e consiste nel trasferimento delle risorse collettive a favore delle categorie disagiate. Un enorme voto di scambio a spese dell’Erario, da maneggiare con cura.
Infatti, gli italiani, al pari di molte nazioni europee, hanno abbandonato i mestieri considerati disagiati e non remunerativi da destinare agli immigrati, come avviene nell’agricoltura e nei servizi alla persona. Il disoccupato che rifiuta un lavoro a favore dell’immigrato, rappresenta la più becera forma di razzismo e non merita certo il reddito di cittadinanza.
Diverso è il problema dei poveri rimasti disoccupati per i periodici problemi di surplus di mano d’opera propri del capitalismo. Una risposta laica a questo problema ormai planetario, è stata quella del socialismo: grazie a questa ideologia i sacrificati ricevevano una speranza di riscatto apprendendo un linguaggio e una cultura di indiscutibile valenza morale che originava una forma di militanza oggi nella pratica quasi scomparsa.
I teorici liberisti che condannano il socialismo di tutti i tempi, dovrebbero ricordarsi più spesso delle antiche condizioni di vita e sviluppare qualche considerazione sui rischi di un ritorno alle origini: il linguaggio del socialismo che oggi li fa sorridere è stato per molti decenni l’unica ragione di vita per gli uomini senza avvenire.
In Italia, questo tipo di sinistra non esiste più perché il PD si è omologato alla destra più retriva. In questa situazione, il grillismo potrà sempre trovare spazi, ma non sarà certo un leader come Conte ad impersonarlo.