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A scuola si torna al ’68, gli studenti si danno l’auto voto: poveretti, così senza stress, ma la vita è altra cosa

Si potrà ancora chiamare scuola quella che desidererebbero una parte dei giovani che studiano per un futuro migliore?Quali sono le loro richieste? Semplicissime: vorrebbero eliminare i voti.

In che senso, potreste chiedervi? Non saranno più i docenti a dare un quattro o un otto, ma i ragazzi stessi che frequentano le superiori. E’uno scherzo ? Nossignori, è la pura verità.  Tanto è vero che in alcuni istituti da Milano a Palermo, da Mestre a Bologna, hanno preso sul serio la proposta e la stanno attuando.

Ora è  fuor di dubbio che i tempi cambiano, che i metodi di insegnamento sono diversi, che la disciplina a volte è un optional, ma quando si esagera non bisogna aver paura di scriverlo che questo esperimento è solo e soltanto uno scandalo.

Facciamo una ipotesi per dimostrare la scelleratezza del problema. In una qualsiasi classe di un qualsiasi istituto italiano, vengono interrogati in una materia qualsiasi due giovani. Il primo risponderà benissimo; il secondo dirà una serie di sfondoni dall’inizio alla fine. Allora, uno sarà da otto o nove; l’altro si potrà assegnare lui stesso il voto e per non dimostrare una eccessiva facciatosta si potrà dare uno striminzito, ma sufficiente sei meno.

E’ questo che si vuole per la generazione che un giorno dovrà guidare il Paese? Il merito dove va a finire? Quale sarà la differenza fra quei due giovani che abbiamo presentato? Entrambi avranno un ruolo nella società di domani, forti di un diploma o di una laurea con cui potranno andare avanti.

In ugual misura? Speriamo di no. Insomma, si può dire senza il timore di essere smentiti, che la bravura non conterà più come ai tempi di un signore che ha superato i settanta. Un capovolgimento di fondo che non è comprensibile, una rivoluzione che farà solo danni se dovesse trovare concretezza.

Si dice dai progressisti a tutto campo: “Il voto genera stress ed ansia per cui chi non è estroverso non potrà mai ottenere buoni risultati. Quindi dobbiamo eliminarli”.

Attenzione: quando tanti anni fa si frequentava una scuola questi due stati d’aninmo facevano “parte” del gioco. Chi non ricorda, ad esempio, l’ora di matematica o di latino con il professore che scorreva sul registro il nome del giovane da sentire? L’adrenalina è un buon viatico, serve anche se si è timidi, perché il dna che è dentro di noi avrà la meglio e non si avranno delusioni.

Dunque, questa ipotesi di scuola “ultramoderna” darebbe un calcio anche ai compiti assegnati a casa, perchè se il voto dipenderà da noi stessi e non da un giudice chiamato docente per quale ragione rovinarsi un pomeriggio chino sui libri? Un altro schiaffo alla preparazione e alla cultura che non è poco se questa dovrà designare i dirigenti del futuro.

Eppure, anche se sbalorditi, si deve sapere che in qualche scuola italiana, da Milano a Palermo, da Mestre a Bologna, l’esperimento è stato accettato e provato. Sostiene il pedagogista Guido Benvenuto: “Il giovane non deve essere terrorizzato dall’insufficienza quando è chiamato a rispondere alle domande dell’insegnante”. Forti di queste parole, gli studenti sono propensi (bontà loro) anche a trovare un compromesso: “Se mi dai “uno” per come ho risposto, ho il diritto di sapere il perché. In parole semplici un giudizio per il motivo che a volte l’insufficienza è dovuta a problemi di simpatia o antipatia fra studente e insegnante”.

Che cosa pensa la maggioranza dei genitori di questa metamorfosi kafkiana? E’ vero che adesso si è più abituati a dare ragione al proprio figlio invece che al professore che gli ha appioppato un quattro, ma a tutto c’è un limite. Se la scuola è merito (e lo deve essere) essa dovrà dire chi è più bravo o chi è meno preparato (eufemismo).

Bruno Tucci

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