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Anatomia di un’astensione, i due lati (destra e sinistra) del voto e del non voto

Chi si astiene alzi la mano. Sono poche o molte le braccia levate al cielo? Dipende dai risultati delle elezioni. Se ha vinto la destra, l’opposizione ritiene che questo sia il grande problema dell’Italia; se, al contrario, vince la sinistra il non voto passa in secondo piano e ci si affretta solo a telefonare e a complimentarsi con chi ha tagliato il traguardo.

Una par condicio “maccheronica” che rappresentava una lingua artificiale in grado di parlare correttamente il latino. Al domani del voto (qualsiasi esso sia) siamo in presenza dei furbetti del Parlamento, cioè di quei politici che cercano di imbrogliare le acque per confondere l’elettore. In questo caso, il linguaggio è quello stranoto del politichese che vuol dire tutto e nulla. In altri termini, si cerca di convincere chi ha perso che non tutto è andato male. Anzi.

Il fatto è che l’elettore non è più quello di prima

Oggi ci sono i social che mettono allo scoperto i pro e i contro. Non è più facile come una volta “indirizzare” l’informazione a proprio piacimento. I giornali on line, i talk show, le centinaia di tv private che nel loro territorio sanno tutto e il contrario di tutto. Insomma, è finita un’epoca, se ne apre un’altra che smaschera le false giustificazioni di chi non ha avuto il consenso degli elettori.

Però, con un alt a coloro che, a seconda dell’astensionismo, gridano di aver superato l’avversario. Con o senza la percentuale dei votanti. Il ritornello è chiaro, non può essere travisato. Ma chi ancora non capisce che la situazione è cambiata e bisogna dire soltanto la verità, sono i soliti personaggi che intendono la politica come se fosse quella di mezzo secolo fa.

Oramai, chi va al voto non si fa ingannare

Legge, si informa, trae le sue conclusioni e quando avverte che la musica è sempre la stessa preferisce andare al mare o in campagna il giorno in cui si deve recare al seggio. L’astensione, insomma, è un fenomeno direttamente proporzionale alla poca affezione che l’onorevole o il senatore ha con il suo territorio. Una volta, con il sistema proporzionale, non si poteva ignorare che bisognava farsi vedere nella regione o nella provincia in cui ci si voleva candidare per Montecitorio o Palazzo Madama.

Oggi, non è più così. Molta gente non sa e non conosce nemmeno come è fatto l’uomo o la donna per cui deve votare. Allora che fa? Risponde che vorrebbe avere almeno un incontro sia pure collettivo con il “suo” parlamentare. Se non è così, preferisce rimanersene fra le quattro mura domestiche e rinviare di dare una qualsiasi preferenza. E’ inutile che si aprano dibattiti e polemiche all’infinito se l’astensionismo dilaga e continua ad essere il primo partito italiano.

La colpa è nel manico, cioè di coloro che da lontano promettono mari e monti per poi scomparire subito dopo i risultati. In parole semplici, i furbetti non incantano più nessuno e lo si vede ogni volta che si fanno i conti con le urne. Prima poco al di sotto del cinquanta per cento; oggi ancora di più se le ultime rivelazioni delle amministrative davano una cifra poco al di sopra del quarantasette per cento.

E’ un problema di vitale importanza, preme sottolinearlo ancora una volta senza piangere o entusiasmarsi per la decisione degli italiani. Ora, con la legge sul premierato, potrà essere il popolo a scegliere chi sarà il presidente del consiglio. Ma quella che Giorgia Meloni considera la madre di tutte le riforme ha ancora tanto cammino da fare, irto di ostacoli e trabocchetti. Meglio gli inciuci nelle segrete stanze dei Palazzi romani che contano? Sarà più giusto lasciar rispondere agli italiani.

Bruno Tucci

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