“Anche i ricchi piangono”: ero pronto a scriverlo, perché ormai sembrava quasi fatta, questa volta la Meloni avrebbe tassato le banche, non c’erano dubbi, ed invece niente, falso allarme, l’underdog deve mollare l’osso perché altrimenti si rompe i denti per la seconda volta.
Eppure la Meloni era stata bella sicura in Parlamento, “si potrebbe scoprire che questo governo ha più coraggio della sinistra” aveva ringhiato tutta ringalluzzita verso le opposizioni, che ora ovviamente se la ridono, perché alla resa dei conti, della tassazione sugli extraprofitti non c’è nessuna traccia, e l’attuale “sacrificio” delle banche non è altro che un bruscolino negli occhi, un caffè offerto agli italiani.
Intanto, qualcosa da dire sull’utilizzo della parola “sacrificio”, ci sarebbe.
È vero che viene utilizzata nel linguaggio economico con un’accezione leggermente diversa da quella che siamo abituati, tuttavia, quando si parla di “sacrificio”, al cittadino comune viene subito alla mente la definizione che ne dà ad esempio la Treccani: “grave privazione o rinuncia, volontaria o imposta, a beni e necessità elementari, materiali o moralli”.
Ed è altrettanto innegabile che le banche non rientrino in questa fattispecie, e lo si può facilmente dedurre da alcune loro recenti prestazioni economiche: nel 2022 il totale dei profitti lordi delle banche è stato di 25.454 miliardi di euro, nel 2023 di 40.643, per un totale nei due anni di 66.097 miliardi.”
Riscriviamolo questo totale dei profitti, per non dimenticarlo: 66.097 miliardi.
Dunque l’utilizzo del termine “sacrificio” è quanto meno azzardato. Di quali sacrifici stiamo parlando? Il contributo delle banche a questa manovra è un sacrificio? La Fondazione Gimbe ci racconta che 4,5 milioni di italiani hanno rinunciato, per problemi economici, a curarsi, altro che sacrifici delle banche!
Sicuramente una piccola cosa, questa polemica relativa all’utilizzo del termine “sacrificio” ma è una sottolineatura che andava fatta perché si deve aver cura delle parole, soprattutto quando diventano sostanza politica ed informazione.
Però il tema vero della Legge di bilancio, rispetto al rapporto con le banche, rimane la tassa sugli extraprofitti che non c’è. Quella sarebbe stata una vera azione di giustizia ed utilità sociale, mica il “sacrificio” che la Meloni ha presentato agli italiani e sul quale si discute molto. E probabilmente di meglio non avrebbe fatto nemmeno un governo di sinistra.
Nessuno va contro le banche: ci siamo già dimenticati quanti soldi pubblici sono stati spesi in passato per il loro salvataggio? E dei piccoli risparmiatori che hanno visto liquefare i propri risparmi? Nessuno li rammenta più?
Ma proviamo ad allargare la prospettiva aggiungendo un po’ di pepe.
Siamo l’unico Paese nell’Ocse dove i salari sono diminuiti in termini reali, mentre, nel medesimo momento, le imprese hanno reinvestito negli ultimi anni solo il 20% dei propri utili, destinando il resto ai dividendi, tradotto: meglio nel proprio portafoglio che nell’azienda.
Poi, secondo l’ultimo Rapporto Oxfam, in Italia la forbice tra ricchi e poveri è notevolmente aumentata; per l’Istat quasi 2,2 milioni di famiglie italiane vive in condizioni di povertà assoluta, circa 5,6 milioni di individui.
Le domande, senza bisogno di altri dati, vengono naturali: ma non è che dovremmo riparlare di “lotta di classe”? Mutatis mutandis aveva ragione Carlo Marx?
Lontano dall’essere solo un tema d’interesse accademico, questo della lotta di classe rischia di tornare ad essere la lente con la quale dover capire il mondo.
Probabilmente la lotta di classe non è mai cessata di essere, e forse non sono mai venute meno le ragioni per parlare di “classi sociali”.
Certo, il rischio di un adattamento arbitrario delle idee marxiste c’è, soprattutto perché oggi la consapevolezza e l’ambizione di sostituire la classe al potere con la propria è una prospettiva ormai annacquata dal consumismo e dall’individualismo che pervade le nostre vite fino ad avvelenarle.
Rispetto a Marx si può pensare che oggi siano moltiplicati i confini e gli spazi dentro ai quali ha elaborato la sua teoria, perché come diceva Gramsci “la storia non ha esempi di uno uguale a uno”, ma ciò non toglie che la realtà ci racconti di istinti antichi che tendono a contrapporre blocchi sociali ed economici in crescente scontro tra di loro.
Ed ancora una volta è Gramsci ad aiutarci: “gli uomini non sono che verniciati di civiltà; ma se appena sono scalfiti, subito appare la pelliccia del lupo. Gli istinti sono ammansiti, ma non distrutti, e il diritto del più forte è il solo riconosciuto”.
Gramsci lo scriveva nel 1916, più di cento anni fa. Altri tempi, sicuramente, tuttavia i colori delle sue parole sono i medesimi dei nostri giorni.
Il passaggio logico successivo allora diventa più chiaro: la Legge di bilancio è uno dei tanti campi di battaglia dove i lupi tornano a combattere tra di loro, la trincea politico-amministrativa nella quale la nuova lotta di classe si manifesta in tutta la sua ferocia. Chi sta fuori attacca per entrare, chi sta dentro si difende, il diritto del più forte prevale.
È una possibilità quella di interpretare il presente con Marx, una delle tante, e tuttavia la suggestione che evoca sembra offrirci gli stampi migliori, soprattutto per cogliere, nei rapporti di potere, il legame politico tra chi difende chi e per cosa.
“Anche i ricchi piangono”: ero pronto a scriverlo ma la Meloni si tira indietro dalla sfida con le banche, ed era prevedibile che lo facesse. Resta da chiedersi per quanto tempo ancora andrà avanti questa manfrina del dire una cosa per poi farne un’altra.
La terza manovra di questo Governo però qualcosa di utile lo dice, soprattutto alle forze d’opposizione: Marx è stato dimenticato troppo in fretta: le sue parole andrebbero ricordate: “la storia di ogni società sinora esistita è storia di lotta di classe”.