Silvio Berlusconi non ce l’ha fatta: voleva essere immortale, poi si sarebbe accontentato di 150 anni, poi solo di altri 10-15, fino al 2030, ma la leucemia ha eseguito gli ordini superiori.
Certo è stato grande, in tutti i sensi, forse il più grande del dopoguerra: geniale, visionario, bugiardo, è diventato miliardario e all’età in cui tutti si va in pensione, lui è entrato in politica diventando d’emblé primo ministro.
Ha cambiato la vita degli italiani, ma non nel senso indicato dai suoi moralistici detrattori, bensì perché ha liberato milioni di pensionati e casalinghe dalla camicia di forza della Rai, dando loro migliaia di film gratis.
Come uomo e come imprenditore è stato meglio e peggio dei suoi rivali. Come politico ha mancato la missione (anche se qualche promessa l’ha mantenuta), lasciando l’Italia come prima: perché lui non faceva politica, voleva solo proteggere le sue tv dai “comunisti”. E per lui erano comunisti tutti quelli che non si piegavano alla sua volontà.
Da qui il partito azienda. Nella vita intima è stato indecente, per questo è stato castigato in modo virulento e anche un po’ ipocrita, non per il suo fallimento politico.
(da Cronaca Oggi)
Scrivo l’epitaffio che segue per rispondere a una giovane di 16 anni che, nata nel XXI secolo, all’inizio del declino del de cuius, non tiene nel suo pantheon di miti, eroi e demoni, Silvio Berlusconi. Chiede: chi fu? Ci provo.
Mi sono un po’ dilungato ma il personaggio è difficile da liquidare in 30 righe.
La storia di Berlusconi è una epopea, un romanzo.
Per praticità, spezzo il lungo articolo di oltre 6 mila parole. Riporto qui sotto i titoli con link degli altri due pezzi. Spero troviate la forza di leggerli.
Comincio fissando una serie di punti. Se è vero che in un mondo di orbi il monocolo è re, Berlusconi aveva entrambi gli occhi bene aperti mentre i suoi avversari erano obiettivamente dei nanerottoli.
È stato un gigante, in mezzo a tanti nani. Ma non quel superman che certi suoi avversari in vita e ora in morte vogliono fare apparire, non è il titano che ha cambiato l’Italia.
L’Italia è cambiata sulla scia del mondo e col miracolo economico, Berlusconi ha surfato il cambiamento ed è diventato grande. Altri ci hanno provato e sono falliti.
Si può dire di lui ogni male ma come leader è stato grande. Ha saputo tenere vicini i suoi dirigenti e i suoi figli, anche se, guardando le foto del suo funerale, solo Marina (di cui tutti nel loro mondo dicono un gran bene, paragonandola al padre) e Luigi, il più giovane, appaiono all’altezza della situazione. Sconcerta Piersilvio, in jeans, una controfigura di Johnny Depp. Però lo capisco. Con un padre così, o lo uccidi o ti uccidi (come è accaduto con Agnelli) o fai un disastro (come da noti esempi in casa dei suoi rivali).
Nel mondo dei mass media in Italia nel XX secolo c’è stato solo uno pari a Berlusconi come innovatore al suo livello: Eugenio Scalfari. Scalfari segnò il punto di arrivo di un processo di rinnovamento della stampa italiana nel dopoguerra avviato dai mitici Longanesi, Rossi, Pannunzio, Guareschi, perfezionato dal suocero di Scalfari, Giulio De Benedetti, portato a compimento da Piero Ottone e da Scalfari al successo duraturo.
Ma Scalfari non sarebbe mai stato Scalfari senza il sostegno, la moderazione e la guida di Carlo Caracciolo, suo editore amico fratello.
Mentre però Berlusconi riconosceva la grandezza di Scalfari (un gradino sotto ma sempre nell’empireo, lo stesso sentimento di stima e ammirazione Berlusconi non provava per Caracciolo. Forse c’era di mezzo la questione di una donna.
Sottovalutare Caracciolo si rivelò per Berlusconi un errore fatale, lo vedremo fra qualche riga.
Ricordo un paio di momenti nel primo periodo della guerra di Segrate, quando Berlusconi si impadronì della Grande Mondadori che aveva appena acquisito il controllo di Espresso e Repubblica.
Berlusconi aveva fissato al lunedì una riunione con i dirigenti del nuovo super gruppo.
Era uno spettacolo.
Battute tipo: “Ho dormito poco perché stanotte alle 2 mentre lavoravo è arrivata mia moglie da San Moritz e cosa volete ho la moglie giovane”.
Oppure: “Questo è Confalonieri, il mio compagno di classe ricco, ora le parti sono capovolte”. Oppure si alzava, prendeva il fazzoletto dal taschino e spolverava un dirigente che aveva vantato i risultati della sua divisione. (Salvo poi licenziarlo mesi dopo perché era un incapace).
Erano i tempi in cui Berlusconi vestiva una specie di divisa: blazer blu e cravatta blu a pallini bianchi.
Peppino Turani mi preconizzava una brutta fine: “Lui li vuole alti e magri, tu sei piccolo e grasso”.
Alla seconda riunione già tre dirigenti si presentarono con la cravatta come quella del preside.
Dopo lo spettacolo, pranzo in mensa dirigenti. Mi trovo Berlusconi di fronte a tavola. Mi dice: “Ho bisogno di Scalfari e dei suoi articoli per ottenere la legge che mi metta in regola e al sicuro” (ammissione trasparente, ma anche i bugiardi dicono verità senza accorgersene, di quella posizione fuori legge di cui scrivo più avanti).
In una altra riunione del lunedì Berlusconi si presenta con una dichiarazione del genere: “Ci ho pensato e ripensato. L’unico che per cultura ingegno e creatività sia alla mia altezza nel dopoguerra nel mondo dell’editoria è Scalfari”.
Poi si guarda attorno. Nel frattempo, si è alzato e si aggira nello spazio fra il suo tavolo e i banchi dei dirigeenti
Mi vede con l’aria ingrugnita. Ne avevo motivo. Mi ero alzato alle 5 del mattino per essere alle 10 a Segrate per sentire quelle scemenze. Ma lui pensa che sia in polemica con la sua tesi. Chiede: “Chi non è d’accordo? Lei Benedetto?”
Rispondo: “Ha ragione per Scalfari ma fossi in lei non sottovaluterei Caracciolo che anche lui qualcosa ha fatto in questi anni”.
Mi guarda colpito: “Certo certo ma Scalfari è più grande di tutti”.
Un simile errore Carlo De Benedetti non lo ha mai commesso. Ha tenuto sempre Caracciolo nel massimo rispetto, una specie di santo laico della sinistra, fino alla di lui morte.
E fu proprio Caracciolo, come vedremo, decisivo nella sconfitta di Berlusconi al termine della guerra di Segrate.
Berlusconi aveva, come si dice, una marcia in più: del genere che tu decidi di andare al bar e quando ci arrivi scopri che lui ti ha anticipato e lo trovi già lì. Scrivo questo per enfatizzare la capacità di Berlusconi di anticipare le mosse di amici e nemici, senza lasciare nemmeno il più piccolo spicchio di territorio scoperto.
A testimonianza ricordo una mia visita a un fondo di investimenti a Boston a fine anni ’90, nel periodo d’oro in Borsa di giornali e internet. Visitavo periodicamente gli investitori in tutto il mondo per illustrare quanto noi del Gruppo Espresso fossimo belli e bravi.
A un certo momento il mio interlocutore di Boston ricordò: “Un po’ di tempo fa sono venuti per conto di Berlusconi a comprare il nostro pacchetto di azioni Espresso. Noi non abbiamo venduto e abbiamo fatto bene”.
Rimasi colpito. La visita era avvenuta nel periodo acuto della guerra di Segrate (si veda più sotto) e Berlusconi rastrellava più azioni Espresso che poteva per bilanciare il più possibile il pacchetto dei vecchi soci. Quel fondo era piccolo e le azioni Espresso in suo possesso marginali ma niente era marginale per Berlusconi, nulla doveva restare intentato.
Questo è sempre stato uno dei suoi maggiori punti di forza.
È caduto quando si è creduto invincibile e sopra di ogni limite umano (fanfalucava di immortalità, dormiva tre ore per notte (salvo addormentarsi davanti all’interlocutore), si inventava la favola della nipote di Mubarak, si comportava come un valligiano in vacanza all’estero quando faceva le corna nelle foto di gruppo.
Che vergogna per un italiano vedersi rappresentato al G20 da un energumeno che, sempre al momento clou, la foto di gruppo, scatenò una tale confusione che provocò l’irritazione della regina Elisabetta al punto che quella strillò: “Ma chi è quello la (Who is that man)”.
Per non dire della amicizia con Putin. Ho qualche idea su cosa la motivasse. Preferisco non riferirne per prudenza.
E ancora faceva i bunga bunga sfidando le regole del decoro imposte a ogni governante in tutto il mondo, al punto che di recente a Londra hanno messo in scena un musical col bunga bunga come pezzo forte.
Anche su Alexander Hamilton hanno fatto un musical. In esso però il braccio destro di Washington appare come il gigante che è nella storia americana, morto in duello per onore.
Anche se non furono momenti brillanti di politica internazionale, in fondo queste forme di insensato esibizionismo si possono anche capire. Pensate, uno che siede su un patrimnio di alcuni miliardi di euro, domina la politica del suo Paese, in mezzo a una mandria di politicanti e burocrati spesso anche incapaci. Dareste di matto.
Berlusconi è caduto per il bunga bunga e le serate eleganti con donne di facili costumi. Lo hanno messo in ginocchio i pm di Milano.
I suoi nemici comunisti, il cui spauracchio gli servì per motivare il suo ingresso in politica e gli portò milioni di voti, non gli fecero poi tanto male. Anzi furono perfino troppo indulgenti. Non con le parole, certo, ma nei fatti. E il modo ancor m’offende.
Le mutazioni del Pci con D’Alema e Veltroni, Bersani (quello della diretta con i grillini, zimbello dei taxisti e degli ordini dei callisti e dei giornalisti), Napolitano (santificato da Repubblica ma sul cui operato, specie proprio a fronte di Berlusconi, avrei qualche riserva) lo lasciarono sopravvivere quando avrebbero potuto finirlo, rinunciarono ad elezioni anticipate che avrebbero portato la sinistra in trionfo al Governo, gli diedero nuova vita quando potevano terminarlo, gli permisero di scegliersi il successore, furono sue alleate nella guerra contro i giornali.
Voglio pensare che si sia trattato solo di incapacità.
Come uomo e come imprenditore Berlusconi è stato meglio e peggio dei suoi rivali. Come altri, che non nomino per evitare querele, fu bugiardo, fedifrago, doppiogiochista, fabbricante di nero e distributore di mazzette.
Solo che Berlusconi fu più bravo dei rivali, nel senso che fu più spregiudicato e irrispettoso della legalità di loro. Un po’ come i cinesi, per i quali i vincoli esistono per essere aggirati e violati.
Fu soprattutto un grandissimo venditore.
C’è una scena nel film “Loro 2” di Paolo Sorrentino che esprime meglio di qualsiasi altro tentativo l’essenza di Berlusconi: un supremo venditore. In quella scena, inventata forse ma tanto verosimile, Berlusconi riacquista fiducia in se stesso riuscendo a vendere con una sola telefonata a una signora scelta a caso sull’elenco telefonico un appartamento in un complesso edilizio che non esiste.
Così fu col milione di posti di lavoro che promise di creare, con la prospettiva che anche gli italiani meno abbienti avrebbero avuto la stessa sanità degli svizzeri, col mitico “contratto con gli italiani” firmato in diretta tv davanti a un dubbioso e divertito Bruno Vespa.
Come politico, invece, ha mancato la missione (anche se qualche promessa l’ha mantenuta, ma non rileva a fronte del fallimento complessivo) lasciando l’Italia come prima e peggio di prima.
Ma lui non faceva politica, voleva solo proteggere le sue tv dai “comunisti”. Da qui il partito azienda. Da qui la sua folle invenzione del tfr espropriato e affidato ai sindacati per tenerli buoni.
Con tutto il suo anticomunismo ha presieduto alla trasformazione dell’Italia in un modello di socialismo che ci vede fermi da 20 anni.
A lui importava che i comunisti, gente in prevalenza per bene anche se capace di nefandezze in nome della obbedienza al Partito, gli reggessero il sacco nella feroce guerra ai nemici delle sue tv (la complicità era favorita dal fatto che la Rai, dove la sinistra imperava, fonte di impiego per redattori programmisti e autori, nonché di appalti, non poteva non essere coinvolta in una riduzione degli affollamenti pubblicitari). E questo dava parecchio fastidio.
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