Più che di campo largo Elly Schlein farebbe bene ad occuparsi di campo stretto. Nel Pd, infatti, volano gli stracci. Se non è proprio maretta poco ci manca. Si fanno sentire di nuovo le tante correnti che non rendono la vita facile alla segretaria. Si, no, forse, chissà. Le idee sono confuse e difficilmente hanno il dono dell’unità.
Quali sono i crucci che lacerano il Partito democratico? Manco a dirlo è stato l’inafferrabile Renzi a gettare lo scompiglio nelle file dei progressisti. Approfittando di una partita di calcio in cui Matteo e Elly giocavano nella stessa squadra, l’ex presidente del consiglio è stato fulminato sulla via di Damasco.
Uscito malconcio da tutte le competizioni elettorali degli ultimi tempi ha pensato di mischiare le carte in maniera quasi impensabile. Ha chiamato al telefono Elly, le ha mostrato la foto in cui dopo un’azione si abbracciavano ed ha lanciato il suo amo sperando che la segretaria potesse abboccare.
Che cosa proponeva Matteo al numero uno del Pd? Di creare una nuova corrente in cui lei, rivoluzionare di sinistra, potesse unirsi ad un vecchio militante dell’identico partito con il proposito di attrarre quei vecchi democristiani dei dem che avevano dovuto a dispetto digerire le decisioni di Elly.
L’intricata opinione ha avuto vita breve: da una parte perché i moderati del Pd non si fidavano delle parole di Renzi, il quale era l’uomo che si era rivolto a Enrico Letta assicurandolo di “stare sereno” per poi pugnalarlo alle spalle poche ore dopo.
Dall’altra, i sinistri-sinistri dell’opposizione gridavano un potentissimo no perché ormai quella corrente era certa che Elly non sarebbe tornata indietro a meno che non avesse voluto tradire il suo operato. In parole più semplici si respingeva al mittente l’idea di un patto segreto (ma non troppo) tra Italia dei valori e Pd.
Nonostante questo, il conflitto sotterraneo che non aveva convinto gli anti Schlein si è riacceso alla grande di modo che gli stracci potessero volare senza nascondersi.
Eppure sia Stefano Bonaccini sia Nicola Zingaretti (due pezzi da novanta dei dem) non si erano opposti, anzi avevano supportato il patto ritenendo così che la destra sarebbe stata sconfitta in poco tempo ad iniziare dalle elezioni regionali in Liguria, Emilia e Umbria con un tre a zero che avrebbe messo in grave difficoltà il governo guidato da Giorgia Meloni.
Così è successo quello che forse la Schlein non aveva previsto dopo i tanti sforzi per lanciare il campo largo. E’ tornato tutto allo statu quo ante con le correnti che si dilaniano e non trovano un accordo che è uno.
L’unica voce di un certo peso che cerca di riportare serenità nel pd è quella di Graziano Del Rio: “Ora non pensiamo ai nomi, ma ai fatti”. Parole sensate che sono state bocciate dagli ultimi avvenimenti che riguardano i 5Stelle, insomma il movimento senza del quale non si può nemmeno pensare alla “grande ammucchiata” (termine inventato dalla maggiorana).
Infatti anche fra i pentastellati è nata guerra tra i sostenitori di Giuseppe Conte e quelli di Beppe Grillo. Pure lì il termine scissione è tornato di moda. Con Virginia Raggi e Alessandro Di Battista in prima fila per un ritorno al passato con il vecchio fondatore.
Addirittura la vice presidente del Senato, Mariolina Castellone (militante da sempre dei pentastellati) si è schierata con Grillo, nel senso che non si possono gettare a mare i principi che hanno reso famoso il movimento, come ad esempio il doppio mandato.
A mettere infine in crisi il campo largo, ecco il ripensamento di Antonio Tajani il quale poteva essere considerato un potenziale alleato per via delle sue idee sullo ius scholae.
Lui e Forza Italia sono tornati sui loro passi, dicendo che questo non è un problema previsto nel programma di governo. Allora, campo largo o no? Per ora siamo tornati all’antico. Con la gioia di Giorgia Meloni e del suo esecutivo che deve pensare a ben altri problemi, assai più gravi.
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