Centro destra, qualcosa non va, inutile continuare a nasconderlo: alleati lo sono fino ad un certo punto

Nel centro destra qualcosa non va, inutile continuare a nasconderlo:. Alleati lo sono fino ad un certo punto. Poi, al dunque, l’accordo vacilla.

Si litiga sottobanco, ma non troppo, e la minoranza gongola perché può attaccare su diversi punti, anche su quelli che la sinistra dovrebbe sostenere.

I campanelli d’allarme suonano ogni giorno malgrado la premier ce la metta tutta per evitare che gli scricchiolii diventino più forti. Una volta, anzi spesso, tocca a Matteo Salvini suonare la carica; un’altra ad Antonio Tajani.

Anche se non si capisce dove voglia arrivare l’esponente di spicco di Forza Italia. Ha cominciato ad alzare la voce quando si trattava di tassare gli extra profitti delle banche (iniziativa quanto mai essenziale ed importante). Giorgia gli venne incontro perché il provvedimento avrebbe colpito anche la Mediolanum, un istituto di credito vicinissimo alla famiglia Berlusconi.

Ora pure sul superbonus gli eredi del Cavaliere (tanti o i pochi amici del ministro degli Esteri Tajani)  hanno fatto le bizze fino all’ultimo e commentatori autorevoli non si sono spiegati un simile atteggiamento.

Invece, la ragione c’era e forse ci sarà anche in futuro: la paura di scomparire se ogni tanto non si puntano i piedi. L’agguato viene soprattutto da Matteo Renzi e in parte da Carlo Calenda. Entrambi sognano un ritorno al centro-centro e se non ci riescono in tempi brevi temono di scomparire. I voti di Forza Italia sono ghiotti e forse li si potrebbe afferrare vista la diversità di opinioni che esiste nel partito. 

Una spaccatura che già c’è, tanto è vero che qualcuno ritiene che un cambio della guardia al vertice sarebbe indispensabile. Il nome più ricorrente è quello di Letizia Moratti, un figliol prodigo, in grado di smussare i contrasti che dividono gli eredi dei Berluscones. “Lei, intelligente e caparbia, è la persona migliore in grado di garantire il nostro futuro”, sostiene una parte del partito. 

L’ultimo braccio di ferro di Tajani ha riguardato il superbonus, un provvedimento targato Giuseppe Conte, che è costato allo Stato circa 150 miliardi.

Francamente, non si comprende il motivo per cui il vice premier abbia voluto combattere questa guerra sino in fondo. Si paventava una crisi non di governo, ma una incompresione che avrebbe potuto provocare seri danni.

C’è voluta tutta la pazienza di una Giorgia Meloni ammalata per ricucire lo strappo. Per l’esecutivo i voti di Forza Italia sono indispensabili ed ecco perché si è andati alla ricerca di un compromesso che ha soddisfatto poco Tajani, il quale ha però voluto dire a Forza Italia che le battaglie si vincono se non si arretra.

Il ministro Giancarlo Giorgetti, che aveva definito il superbonus una legge psichedelica, ha dovuto dire si per evitare di acuire un contrasto su cui la sinistra ci si sarebbe gettata a capofitto.

Questo “accordo” (definiamolo così assai bonariamente) non dimostra però che la maggioranza viaggi compatta come si augurerebbe la premier, definita con una punta d’ironia, l’uomo dell’anno.

Elly Schlein è pronta a strumentalizzare qualsiasi malcontento anche quando un provvedimento del governo dovrebbe trovare il plauso della minoranza (ad esempio, le misure a sostegno delle fasce deboli).

No, per il Pd e i suoi alleati – escluso per carità Conte e i grillini – “è tutto sbagliato”, come diceva Gino Bartali in una gag di qualche anno fa.

Indipendentemente dalle battute ironiche nell’anno che verrà la maggioranza dovrà trovare un minimo comune multiplo che le dia tranquillità, perché se il Paese dovrà avere una svolta, questa non la si potrà raggiungere con una triade capace di pensarla in modo diverso su importanti provvedimenti.

Il traguardo dei cinque anni promesso da Giorgia Meloni è ancora lontano e non  ci si può permettere di sbagliare se davvero si vuol governare per un lustro.

 

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Bruno Tucci