Il popolo italiano dedica più attenzione al Codice della strada che all’invasione della Ucraina o agli eccidi del regime iraniano. L’italiano è un anarchico inconsapevole, che si ribella a qualsiasi legge, compresa quella che riguarda il traffico urbano.
Quando fu introdotto l’obbligo delle cinture di sicurezza, si diceva che i napoletani avessero inventato le magliette con la cintura stampata. Le apparecchiature elettroniche che intercettano gli autovelox hanno sempre avuto un vero e proprio mercato, mentre Fleximan è diventato un “eroe nazionale”, inafferrabile al pari di Arsenio Lupin.
“Come ingannare l’etilometro” è la domanda che si fanno oggi molti automobilisti. I giovani africani che sbarcano in Italia, imparano questa “etica pubblica” e si comportano ben presto da “italiani”.
In altri paesi non è così. A Singapore, ad esempio, chiunque getti per strada un mozzicone di sigaretta o una gomma americana masticata oppure fumi in luogo pubblico, viene multato con una pena pecuniaria da 500 a 10.000 dollari senza possibilità d’appello.
Il civismo orientale si deve alla rivoluzione di Mao e ad alcuni milioni di vittime. Il “disordine geniale” degli italiani deriva dalla capacità popolare di “sopravvivere” ai Papi guerrieri, agli spagnoli, ai francesi, agli austriaci, al fascismo e al comunismo, mantenendo intatte le proprie caratteristiche “genetiche”.
Italiani brava gente ma poco prolifica
Che gli italiani costituiscano tuttora un’etnia ben definita, con proprie tradizioni e caratteristiche, lo credono più gli stranieri che la vulgata nostrana “salvifica” relativa all’integrazione multietnica in atto. Poco tempo fa, mia figlia fu invitata ad una festa di nozze in una cittadina del Middlewest americano. Non appena seppero della sua presenza, tutti cercarono di fare amicizia sperando di essere ospitati una settimana nel nostro paese.
La conversazione si limitava a questa frase: “fate l’amore, fate figli, altrimenti la vostra meravigliosa etnia sparisce”. Il fatto che di questo passo, tra una cinquantina d’anni, in Italia non ci saranno più italiani, non interessa al cittadino medio, che è appassionato di calcio e di automobili. Ritorniamo dunque al nuovo Codice della strada.
Il Codice Meloni
L’efficacia del “codice Meloni” sarebbe dimostrata dalle statistiche. Salvini riferisce sui social che nei primi 15 giorni dall’entrata in vigore, i morti sono diminuiti del 25% e gli incidenti del 3%. Il ministro ha commentato: “Ne sta valendo la pena, significa fare del bene, significa fare buona politica”. A sua volta il sindaco Sala giustifica i provvedimenti restrittivi sul traffico, esaltando la diminuzione dell’inquinamento urbano.
A mio parere, invece, si tratta di un codice che ricalca quelli dei governi precedenti, senza spunti di una vera innovazione. I punti cardine che non sono stati considerati sono i seguenti: 1) una modifica sostanziale del sistema dei trasporti; 2) la formazione di una classe di controllori più moderna e vicina ai bisogni della gente; 3) una nuova fiscalità del comparto collegata con la crisi industriale dell’auto.
Nessuno osa ricordare che l’aria è diventata irrespirabile per la ragione che i governi nazionali hanno sempre privilegiato il traffico su gomma, per favorire la nostra industria automobilistica. La forza della Fiat non derivava dalla particolare qualità del prodotto, ma dagli uffici Pubbliche Relazioni che intessevano “fruttuosi” rapporti con la politica.
Gli austriaci hanno vietato per un certo periodo il passaggio di camion italiani sul loro territorio. Mi domando tuttavia cosa sarebbe accaduto se i nostri governi avessero investito maggiori risorse sui trasporti ferroviari, fluviali e marini. Il paese sarebbe diventato preda dei sindacati corporativi in grado di tenere in scacco la nazione, attraverso scioperi selvaggi dei servizi pubblici, attuati in nome della Costituzione.
Anche la Costituzione giapponese prevede il diritto di sciopero, tuttavia a fronte di 1.500 blocchi stradali annui di Landini & Co., ad Hokayama i conducenti dei bus effettuano le corse regolarmente ma, per danneggiare il datore di lavoro, non fanno pagare il biglietto ai passeggeri. Insomma, se non si ridimensiona il diritto di sciopero che riguarda i servizi pubblici, come hanno fatto gli americani con Reagan, non è possibile innovare il sistema riducendo il traffico su gomma che causa l’inquinamento.
Il vigile urbano che aveva una certa elasticità di giudizio sul caso concreto, è ormai scomparso. Se avessi manie di grandezza e ambissi ad un potere indiscusso, non farei un concorso in magistratura ma cercherei di dirigere il traffico a Genova o Milano. Sono terrorizzato dall’eventualità che vigili urbani con la parrucca si mimetizzino tra i pedoni per “fotografare” chi fuma all’aperto senza rispettare i dieci metri di distanza e magari raccogliere il mozzicone per fare il DNA sulla saliva.
L’inquinamento è frutto della rivoluzione industriale che è ancora in atto nelle zone più popolose della terra, dove gli impianti sputano gas e polvere e relegano le “scorie umane” negli slums puzzolenti. Sono le concerie e le tintorie, le immondizie sepolte nei terreni, le fogne a cielo aperto, gli allevamenti di bestiame, a distruggere il pianeta.
Il più grande inquinatore della terra è l’uomo che invade i paesi con il turismo di massa. Non credo proprio che il fumo di sigaretta all’aperto sia una causa, anche infinitesimale, dell’inquinamento atmosferico. Trovo inoltre assurdo consentire l’uso delle sigarette elettronicheall’aperto, quando Il Belgio le vieta perché le considera ancor più inquinanti: si tratta forse della solita “marchetta”?
Quanto alla fiscalità, il settore auto è sempre stato danneggiato perché il fisco italiano basa gran parte del gettito sui beni “registrati”, mentre è incapace di colpire la ricchezza “mobiliare”. Le tasse sui mezzi di locomozione, le continue corvée imposte agli automobilisti e le assicurazioni obbligatorie sono tra le più elevate in Europa. Il Governo deve decidersi: o considera l’industria dell’auto ancora trainante per l’economia e in tal caso deve ridurre le imposte sul settore, o la ritiene inquinante e allora deve raddoppiarle. L’attuale via di mezzo non è consentita.
C’è un che di farisaico nel proibire il fumo all’aria aperta. Se la scienza è univoca nel giudicare dannoso il tabacco, perché lo Stato non interviene e ne vieta l’uso? Infatti, se il tabacco provoca malattie e il fumatore diventa facilmente ospite degli ospedali con pesanti oneri per le finanze pubbliche, un governo impegnato a realizzare l’art. 32 della Costituzione, non dovrebbe limitarsi a indicare i rischi del fumo sui pacchetti di sigarette, ma dovrebbe chiudere le tabaccherie.
Si dovrebbe cioè considerare “reato” la pratica del fumo in sé, anche se una persona aspira tabacco nel proprio gabinetto. Se ciò non si verifica è perché sono in gioco gli interessi economici dell’Erario e perché non esiste polizia al mondo in grado di intervenire per reprimere il fenomeno. La discriminazione “irresponsabile”, può determinare effetti dannosi per l’intera collettività, come era ad esempio accaduto negli USA, quando il proibizionismo sulle bevande alcooliche aveva favorito la delinquenza mafiosa e la corruzione nell’ambito delle istituzioni. Vietare il tabacco avrà come conseguenza la formazione di un “florido” mercato nero delle sigarette.
Molti italiani affermano di sentirsi più in forma dopo avere ingerito mezzo litro di vino. D’altronde i pittori, i “poeti maledetti” e gli scrittori, prima e dopo Hemingway, creavano opere imperiture sotto l’influsso del whisky e dell’anice. Si tratta ovviamente di considerazioni prive di senso e tuttavia alcuni buontemponi vorrebbero un etilometro che tenesse conto dell’indice di sopportazione “individuale” di vino e liquori.
In via di principio, si può osservare che la libertà di un individuo deve essere limitata quando danneggia seriamente le libertà degli altri. È notoriamente difficile tracciare questa linea: è chiaro che la libertà di usare narcotici deve essere limitata in considerazione del danno che gli assuntori abituali possono provocare.
Ad esempio, le aziende di autonoleggio devono fare l’esame periodico del capello ai propri autisti ed è giusto così. Il problema non riguarda solo il settore delle automobili, ma qualunque situazione nel campo istituzionale. Vorrei essere certo che gli amministratori pubblici che concepiscono o applicano una legge, i pubblici ministeri che richiedono l’arresto di un cittadino o i giudici che l’autorizzano, non decidano sotto l’influenza di una droga.
Se un avvocato si fa qualche “canna” prima di pronunciare l’arringa, ciò può essere dannoso per il cliente e per la “giustizia”. Il Tevere è uno dei fiumi più inquinati dagli escrementi impregnati di cocaina. Perchè non sottoporre all’esame del capello deputati, senatori, e l’interra classe dirigente del paese?
Non trovo nulla di stravolgente annotare sulla fedina penale che una persona è un consumatore di droga a seguito di un controllo della polizia stradale. Non si tratta di una limitazione dei diritti della persona, perché drogarsi non è un diritto inalienabile da tutelare. Il drogato è un individuo al quale non puoi affidare incarichi di responsabilità: è pronto a vendersi per comprarsi la “dose”.
Per queste ragioni sono favorevole alla norma che considera come possibile tossico dipendente il conducente che ha assunto un “semplice” spinello da alcuni giorni.
Vi espongo ora il punto di vista di uno spacciatore di quartiere, che non si considera un delinquente. “Siete voi europei i degenerati che fate consumo di droghe su vasta scala; è proprio questo il popolo dell’occidente che noi vogliamo distruggere e lo spaccio di droga ne costituisce il mezzo più efficace.L’islam proibisce il consumo della cannabis e la religione di Allah è la guida più sicura per condurci alla nostra indiscussa supremazia etica mondiale”.
Da ultimo, per far comprendere la relatività della scienza medica, ricordo di avere chiesto ad un ultra ottuagenario il segreto del suo stile di vita. Mi rispose: “non bevo alcoolici, non fumo e vado a letto alle nove di sera”. Verso mezzanotte, sentii un fragore di passi e un tanfo insopportabile di grappa e di tabacco. Era il padre ultra centenario che stava rincasando.