Un futuro difficile, ma decisivo. I vertici del Movimento 5Stelle si incontrano e guardano al domani: come sarà? Giuseppe Conte è lapidario: “O con la sinistra o me ne vado”.
Grillo è dietro la porta e non si conoscono quali saranno lesue mosse. Il Movimento si interroga e si rende conto che si è ad un bivio: risorgere o morire. Eccoli i pentastellati creati non molti anni fa per “cambiare tutto”. Oggi traballano.
Alle ultime elezioni regionali sono scesi al di sotto del cinque per cento. Sono soltanto un ricordo i tempi in cui erano diventati il partito di maggioranza.
Ora, è tutto un dubbio, a cominciare dal presidente in discesa permanente effettiva. Si difende sostenendo che quando si tratta di un voto amministrativo, i risultati sono stati sempre negativi.
Ma, al di là delle parole, saperfettamente che il suo futuro è appeso ad un filo. Tutte le sue speranze sono svanite nel nulla. Avrebbe voluto sedersi di nuovo a Palazzo Chigi, ma ormai è soltanto un sogno. Avrebbe voluto essere lui a condurre le danze nella sinistra: “Solo con me la maggioranza dovrà trattare” diceva alzando il tono di voce.
Oggi, gli ex grillini (si possono definire ancora così?) sono soltanto un cespuglio del campo largo, un gruppo che potrà al massimo far confluire il suo voto a sinistra nella speranza di prendere qualche poltrona.
Insomma, Giuseppe Conte è all’angolo e cerca di parare i colpi con espressioni ad effetto che contano poco o nulla. “Con l’assemblea costituente di fine settimana ci rigenereremo”, tuona.
Incalza: “Grillo è come l’ultimo dei giapponesi che credeva di essere ancora in guerra quando il conflitto era finito da anni. Riesce soltanto a pontificare contro di noi seduto comodamente nel salotto di casa”.
La verità è che nel Movimento le correnti esistono come in tutti gli altri partiti. I fedelissimi di Grillo non sono scomparsi; a favore di Conte sono in molti, ma dopo le ultime batoste elettorali, c’è chi mugugna ed è incerto su che cosa fare. “Forse sarebbe il caso di rendersi conto della nostra discesa per programmare un futuro certamente diverso da quello attuale”. A sostenerlo è un esponente di rango che vuole mantenere l’incognito.
In parole semplici, quello che era una volta un movimento politico che voleva aprire il Parlamento come una scatola di sardine, si è ridotto oggi ad essere né più e né meno come gli altri abitanti del Palazzo.
Allora il dilemma si ripropone: se ne andrà o no Giuseppe Conte? Comprenderà che ormai non è più tempo di porre condizioni, ma di rimanere nel gruppo dell’opposizione abbassando le pretese? E’ questo l’interrogativo di fondo dell’assemblea costituente di sabato e domenica.
La realtà non è tanto diversa a destra. Nella Lega il mito di Matteo Salvini sta per tramontare. “No, è già tramontato”, dice qualcuno che ne sa una più del diavolo. Chi dopo di lui? Forse è un interrogativo di domani, perché adesso, a caldo, dopo il flop dell’Emilia-Romagna e dell’Umbria, sarebbe controproducente prendere decisioni così importanti.
Avverrà quando Luca Zaia non potrà più essere il governatore del Veneto? Bocche cucite in merito. Ufficialmente nessuno parla, ma la discussione è già aperta.
Come lo è quella di cui si parla in Fratelli d’Italia: togliere dal simbolo la Fiamma che ricorda i tempi di Giorgio Almirante?
I ministri Luca Ciriani e Francesco Lollobrigida ritengono che non sarebbe poi un dramma farla sparire. Questione di punti di vista. Già, ma, dopo, Elly Schlein e il suo gruppo di fedelissimi come potrebbero attaccare il fascismo della maggioranza?