Cosa c’è dietro la vittoria di Trump, a parte i troll russi? C’è un modello di nazione che va in crisi. Un modello che ha retto da Carlo Magno, l’inventore della Grande Francia, una teoria di Stato/Nazione con periodi a volte espansivi, fino a costruire imperi.
Durante il Medioevo si costruivano città, intorno alle cattedrali, che radunarono con il loro stile di vita sempre più persone. Nel dopoguerra la crescita potente del capitalismo liberista, che aveva il suo epicentro nella Grande Mela, New York, ha accelerato i processi di accentramento ed accumulazione di capitali finanziari ed umani in alcune Città/Stato, come lo erano Parigi, Venezia, Firenze, Londra nel Rinascimento.
In Europa A Parigi e Londra si sono affiancate Anversa, Francoforte, Berlino, potenti magneti di attrazione di saperi, competenze e ovviamente soldi. Il modus vivendi di queste città del benessere, o malessere da altri punti di vita è parzialmente simile.
Trump, rottura con un modello millenario
San Francisco, Seattle, Los Angeles sulla costa ovest americana, New York e Boston su quella Atlantica hanno drenato soprattutto know-how e finanza, mondi terziari post industriali, lasciando il primario e l’industria ai territori interni. Il denaro ed il sapere, nelle sue nuovi cattedrali, le Università prestigiose ed i centri di ricerca, in particolare quelli legati alla salute, si sono iper concentrati, lasciando praterie, campagne, piccole città non più competitive allo sbando dell’ignoranza e della irrilevanza. Uno “gnomo” di New York ha più capitali di tutto il Nebraska.
Ma lo gnomo ha una risorsa fungibile e dematerializzata, il capitale che viaggia sui bit, decontestualizzato da economie reali, in un mondo globale, senza barriere e senza protezioni, senza i dazi, su cui si reggevano le Nazioni. Dove vai? Un fiorino. Basterebbe questa scena di un film dal titolo profetico “Non ci resta che piangere”, con Troisi e Benigni, per capire la crisi a cui siamo arrivati.
Però queste potenti, ricche, omniscenti città hanno perso visione della realtà e prospettive di futuri collettivi e non egoisti, come ben evidenziato dall’immaginifico film Megalopolis di Francis Ford Coppola, che già dipinse la crisi americana del Vietnam, descrivendola come un’Apocalisse.
Oltre la globalizzazione
La globalizzazione ha accelerato i processi di diseguaglianza, di circolazione senza regole della ricchezza, di impoverimento del ceto medio delle città “non Stato”, delle zone interne delle Nazioni. Questo in America, terra simbologica del liberismo, ha avuto uno smash violento, soprattutto negli ultimi 20 anni.
L’assurdo è che colui che vuole contenere il liberismo senza regole, che distrugge il concetto di Nazione, sia un figlio del capitalismo liberista, il Trump che vuole mettere i dazi, l’arma che rallenta scambi e circolazione ipersonica di merci e capitali.
Una mossa dichiarata a protezione delle fasce deboli americane che sono agricoltori e città manifatturiere. Che vuole limitare l’immigrazione, perché nel mercato iperflessibile del lavoro Usa, questo toglie posti di lavoro ai vecchi immigrati, che da cento e passa anni si sono insediati ed integrati.
Quindi muri per difendere popolazioni impaurite da altri che vogliono entrare, in un paese che non ha più risorse per tutti, come all’inizio del secolo scorso. Trump ha giocato a fare il difensore di un modello antico, conservatore, e molti gli sono andati dietro. Ma la controparte, per risolvere questi problemi, per spegnere queste paure che ricetta proponeva? Una nuova geografia sociale, redistribuzione della precedente accumulazione?
Un nuovo debito federale per alimentare la dipendenza dai fondi sovrani cinesi? Un reddito di cittadinanza democratico come i 5stelle in Italia? Pagato da cosa? Da una patrimoniale sulle spalle delle lobby dietro i democratici Usa? Siete sicuri che George Clooney e Julia Roberts, Zuckemberg o gli appaltatori del Pentagono siano disposti a farsi tassare come in Italia o Francia?
Questo è stato il limite della proposta della Harris, una candidata di città Stato, che al contrario di Trump non è stata accettata dal 70% degli Stati centrali americani. Ha perso perché considerata ricca, influente e potente, donna delle città che si sono sganciate dalla Old America, che ora ha presentato il conto. Evidentemente a Stanford e alla Columbia non sono forti in Storia e Geografia.