Ora che è stata uccisa la “mente del 7 ottobre” davvero la guerra è ad un bivio? La pace è vicina? La fine del capo di Hamas che effetto avrà sulla guerra in Medio Oriente? È giunto o no almeno il momento della tregua? Sono tante le domande che rimbalzano nel mondo. Meglio però non illudersi. Lo ha già detto Netanyau: ”La guerra continuerà fino alla liberazione degli ostaggi”.
Il cerino è dunque passato nelle mani dell’erede di Yahya Sinwar, 52 anni, da molti definito “il macellaio di Gaza”. O anche: ”Il nemico palestinese di Israele più implacabile dai tempi di Arafat”. Uomo carismatico e probabilmente insostituibile. Nessun singolo leader palestinese può essergli comparato: né per la capacità formidabile di elettrizzare le masse, né per le capacità di definire una strategia di lungo termine e di creare a Gaza immense infrastrutture sotterranee senza uguali nel mondo.
Oltretutto Sinwar era dotato di una estrema duttilità che gli ha consentito, come dicono gli analisti, di “addormentare” per anni Bibi Netanyau . È vero, come affermano i servizi israeliani che, ha commesso anche gravi errori di calcolo; errori che hanno trascinato la gente di Gaza in condizioni talmente disperate dall’essere ormai associate alla storica “Nakba” la catastrofe del 1948.
La carriera di Sinwar
È iniziata negli anni ‘80 all’ombra del fondatore di Hamas, lo sceicco Ahmed Yassin, figura religiosa di sommo prestigio. All’epoca Sinwar si occupava di controspionaggio. La sua efferatezza era proverbiale. Nel 1988 è finito nelle carceri di Israele dove è rimasto per ben 22 anni e dove ha imparato un fluente linguaggio ebraico.
Si dice che abbia scritto 90 volumi di lezioni sulla Diaspora, sulla Shoah, sulla struttura della società e della politica israeliana. Tutto questo lo ha consacrato leader indiscusso di migliaia di palestinesi detenuti in Israele. Nel 2011 ha riacquista la libertà grazie ad uno scambio di prigionieri. Una volta fuori ha accelerato il potenziamento militare di Hamas anche dotando Gaza di una rete di tunnel, di bunker di centinaia di chilometri.
Perché Israele può intensificare l’operazione in Libano
Tel Aviv ora non ha più scusanti per portare avanti la guerra a Gaza. Il probabile erede di Sinwar, cioè Khaled Mashal ( che già aveva preso la leadership ad interim dopo la morte di Haniyeh lo scorso luglio), potrebbe, secondo molti osservatori, vendicarsi sui rapiti israeliani. In questo momento, nelle mani di Hamas, ci sono ancora un centinaio di ostaggi. Ora dunque Israele, se vuole riportarli a casa, questo è il momento giusto per raggiungere un accordo e liberarli.
In ogni caso, il clamoroso blitz dell’esercito israeliano a Rafah, può rappresentare un bivio cruciale per la guerra in Medio Oriente. Lo stesso Biden, arrivato a Berlino, ha avvertito: ”Ora può cominciare per la Striscia un futuro di convivenza”. Frase che coincide con la visita in Libano della premier Meloni. Concludendo: il percorso verso una tregua non sarà né facile né breve. È vero che la morte di Sinwar e un risultato importante ma “non segna la fine della guerra”, come ha fatto sapere anche Benny Ganz, ex ministro della guerra israeliano.
Ergo, l’esercito di Tel Aviv continuerà ad operare nella Striscia di Gaza per molti anni per ottenere il ritorno degli ostaggi e la sostituzione del governo di Hamas. Comunque il colpo di scena arrivato giovedì sera, sarà al centro dei colloqui prossimi futuri. Intanto la situazione in Libano resta drammatica: già oltre 2.000 i morti, 10.000 i feriti e 700.000 gli sfollati in 1.123 centri di accoglienza. L’operazione di terra da parte dell’esercito israeliano va avanti anche dopo le tensioni con le truppe della missione Unifil. Fino a quando?