![Cristoforo Colombo](https://www.blitzquotidiano.it/wp-content/uploads/2024/10/cristoforo-colombo-1.jpg)
Cristoforo Colombo si rivolta nella tomba: la sua Genova non è mai stata così in basso - Blitzquotidiano.it f(oto Ansa)
Meno male che hanno ricordato ancora una volta Cristoforo Colombo, con una trasmissione dell’onnipresente e onnisciente, ma anche bravo, Aldo Cazzullo su la “7”, rispolverando Cristoforo Colombo, il genovese numero uno nella Storia.
Ne hanno parlato per quasi due ore, rispolverando la sua impresa, le origini, l’intuizione sullo sfondo della città quattrocentesca, 10 mila abitanti, cento palazzi affacciati sul porto, che ora aspetta la maxi diga, ricostruendo un atto di coraggio senza precedenti.
Affrontare il mare Oceano con tre navi di trenta metri, 100 uomini di equipaggio, una rotta incerta, tracciata all’ingrosso da cartografi fiorentini, in cambusa gallette vecchie, pesce essicato.
Coraggio di decidere, coraggio di trovare i mezzi per il grande salto verso l’ignoto, di convincere i potenti dell’epoca, i reali d’Aragona, nella Spagna che aveva appena terminato la “Riconquista” contro i mori.
Colombo sfidò senza paura un mare sconosciuto
![Marco Bucci ex sindaco di Genova: Colombo direbbe sì](https://www.blitzquotidiano.it/wp-content/uploads/2024/12/marco-bucci-1.jpg)
Coraggio di rischiare la vita, di non farsi tagliare la gola dall’equipaggio, dopo due mesi e mezzo di mare senza vedere terra….. spinto dall’Aliseo verso terre sconosciute, e mal “buscate” perfino nella loro individuazione geografica.
Insomma Colombo si staglia ancora sull’orizzonte opaco di Genova, seppure nell’ennesima ricostruzione tv e fa gonfiare un po’ di orgoglio il petto ai cinquecentomila abitanti di una città che sta soffrendo forse di più rispetto a quello che appare e che non è quella là dei tempi di Colombo, potenza finanziaria, capitale del commercio, temuta quando per mare si vedevano le sue navi con la croce di san Giorgio, croce rossa sul bianco del vessillo sventolare a poppa o in cima all’albero maestro.
Quella bandiera che fino al 1700 gli inglesi pagavano alla Repubblica genovese per poterla usare tanto incuteva rispetto.
Oggi la bandiera c’è ancora e sventola un po’ ovunque, ma soprattutto sopra il palazzo comunale e in cima alla Torre Grimaldina dal fitto dei caruggi, intricati in basso e spettacolari in alto. Dove le torri esistono ancora, anche se schiacciate oramai in quello che nello skyline di oggi diventano i grattacieli, le torri di oggi, più alte, scintillanti di vetro e cemento liscio, dove il sole di certi tramonti si riflette come in grandi specchi.
La croce di San Giorgio non incute più rispetto
Chi potrà impugnare la croce di san Giorgio che sventola sopra il palazzo comunale, nel cuore della città, nella ex via Aurea, dopo le elezioni del prossimo maggio?
La contesa non ha nulla che fare rispetto a quelle antiche. E neppure rispetto a quelle di qualche lustro o decennio fa, quando almeno l’agone dei contendenti era chiaro e netto. Fino alla caduta della Prima Repubblica uno scontro muro a muro tra il Pci e i suoi alleati di sinistra e la grande madre Dc, i cattolici centristi, nati dai popolari antifascisti, che poi risucchiava gli alleati.
A incominciare dal Psi sempre oscillante, tra i compagni comunisti e gli eredi di De Gasperi, il trentino che aveva riportato al suo posto in Occidente l’Italia dopo il ventennio fascista e quella guerra di Liberazione piena di sangue fratricida.
Oggi lo scontro è confuso e non ci sono parti contrapposte ben delineate, partiti strutturati, fedeltà di appartenenza perfino geografica in una Genova divisa da alte mura fisiche e ideologiche, le periferie operaie o semplicemente lontane dal centro, a Ponente o nelle valli dei due fiumi-torrenti Bisagno e Polcevera, targate a sinistra e i quartieri residenziali, eleganti e o sobri e austeri, come Castelletto e la Circonvallazione, voluta da un grande sindaco di fine Ottocento, Podestà, o più estroversi nel benessere di case, strade, ville del Levante e di Albaro l’ex campagna raffinata, centristi, democristiani, liberali, moderati.
Politica come pongo
Oggi la politica, anche stesa sul territorio, come un sudario pieno di buchi, è un magma che sembra il pongo dei bambini. Il centro esiste un po’ in quasi tutti i partiti di oggi, che non sono più partiti, perché vuol dire tentativo di moderazione. E infatti, in questa campagna elettorale non si assiste che a salti da una parte all’altra tra liste civiche, che sono la maschera di moda per stare da una parte senza alzare un vessillo chiaro.
O addirittura salti, cambia bandiera dalla sinistra al centro, se quella sinistra non ti fa fare abbastanza carriera. E così il personale politico diventa una folla mutante, nella quale ci si confonde spesso e si fatica a individuare il percorso delle proprie ambizioni o del proprio consenso.
Non sarà un caso che i sondaggi prevedono già più del 50 per cento di astensioni, avvicinando nelle previsioni i due blocchi contrapposti, quello di centro destra, dove il candidato sindaco è già scelto nella figura dell’ex vice sindaco, Pietro Piciocchi, per otto anni a fianco di Marco Bucci e quello di centro sinistra, campo largo, dove il candidato è ancora mister X.
Mentre in partenza i contendenti erano separati da ben 18 mila voti di differenza, a vantaggio del centro sinistra rimontante, secondo il risultato delle elezioni regionali di settembre, ora il distacco si è molto ridotto e quei sondaggi lo calcolano in 4 punti percentuali contro i 10 di settembre.
Tutta colpa della decapitazione delle leadership politiche e non solo che nella città di Colombo si consumano in modo anche violento.
L’unico leader riconosciuto in città è ancora Marco Bucci, l’ex sindaco, oggi presidente di Regione, vincitore, da Carneade totale nel 2017, di due elezioni comunali e una regionale, scelto per intuizione geniale da Edoardo Rixi, capo leghista, nella urna confusa della società civile.
Il suo successore, appunto Piciocchi, ora è il vessillifero di quella parte politica, come per un diritto ereditario.
Così è stato scelto e così corre, pancia a terra per far vincere ancora la sua parte. Coperto da Bucci, da una parte moderata della città, anche centrata sulla sua collocazione professionale e famigliare: è un noto avvocato ed è coniugato con una esponente della famiglia Costa, che a Genova non vuol dire poco.
Non tutti i Costa, discendenti del grande Angelo, capo di famiglia e anche di una azienda storica e leader in Italia nella Confindustria del Dopoguerra, tra imprenditori e soprattutto armatori, sono da quella parte, ma essere Costa o vicini ai Costa segna come una garanzia.
Dall’altra parte il leader non sono in grado di trovarlo da anni e non solo a Genova. Per questo hanno perso tutte le ultime dieci elezioni locali, da Genova alla Regione, alle città più importanti.
E ora, a due mesi dall’ appuntamento fatale, navigano nel caos più completo. Il Pd e i suoi alleati, la sinistra sinistra, i 5 stelle, i verdi, perfino Italia Viva di Renzi , e financo Calenda, con una fuoruscita Pd nei suoi magri ranghi, in qualche modo alleati tra mille beghe tra loro, non hanno da mettere sul piatto un leader vero.
Hanno catapultato in Liguria un leader nazionale, Andrea Orlando, che si è sacrificato nelle elezioni regionali, perdendo nonostante il vantaggio dello scandalo Toti sulla schiena dei suoi avversari e ora dovrebbe fare il federatore di questa polverizzata alleanza e scovarne gli uomini o le donne migliori.
Ma Orlando, abilissimo nei corridoi romani del Parlamento e dei Ministeri, in Liguria è come in un dedalo da cui non sa uscire. Così si sprecano nomi, ipotesi congetture, auto candidature fasulle, tentativi di ripescaggio di vecchi leader, come Roberta Pinotti, ex ministro della Difesa dei governi Renzi e Gentiloni, del Pd, ex Pci, donna di indubbia leadership, ma oramai non disponibile, offerte rimandate al mittente di sporadici accademici universitari o di imprenditori troppo affaccendati .
Colombo deluso
Non ci sono leader, né “famiglie” capaci di esprimerle, come ai tempi di Colombo e dei Dogi e i capitan Fregoso, che credettero in lui, i Doria e i Fieschi che si scannavano tra loro .
D’altra parte tutta la città è così. Il presidente del Porto, che per molti versi è ben più importante del sindaco, manca da un anno e mezzo tra scandali e difficoltà di una scelta che deve avvenire tra Ministero e Regione.
Al suo posto ci sono due commissari, dei quali uno è in divisa da contrammiraglio. Il presidente della Confindustria sta per scadere e c’è già una lotta di basso profilo per succedere a Umberto Risso che non ha lasciato grandi segni, se non la sconfitta di non avere mediato abbastanzao tra Edoardo Garrone e Tonino Gozzi della Erg e della Duferco, ambedue in corsa per la presidenza nazionale di Confindustria, che si sono elisi a vicenda, facendo mancare a Genova un ruolo che avrebbe avuto una importanza capitale nella città stradeindustrializzata, con ll’ex Ilva che ritorna in ballo, la Piaggio Aerospace in mano ai turchi, Ansaldo Energia che è ripartita e Fincantieri che sforna navi come noccioline per ogni flotta mondiale.
Con la superdiga in costruzione, la mancanza del presidente del sistema portuale e del sindaco e degli industriali è veramente il segno di un vuoto.
La realtà è che i leader imprenditoriali di quasi tutti i settori hanno alzato bandiera bianca da tempo, vendendo proficuamente le loro solide e attraenti imprese a destra e a manca, dai colorifici di Boero, ai rimorchiatori di Delle Piane e Gavarone e soci minori, alle società di brokeraggio navale e superassicurativo di Cambiaso e Risso, ai superperiti di Lercari, perfino al sistema delle cliniche private e di un piccolo arcipelago di assistenza ai più fragili di Suriani, ai grandi terminalisti come Negri.
Perfino Aldo Spinelli, protagonista del bum bum scandalistico con Toti e compagnia ha venduto quasi la metà della sua azienda di trasporti e di terminal e i Messina hanno ceduto il 49, 1 a Aponte, il vero imperatore di Genova.
Che però è di Salerno e vive e impera a Ginevra.
Resistono in pochi, oltre ai Garrone della sempre più vincente nelle energie alternative Erg, ma totalmente disinteressanti a ruoli pubblici, se non quelli benefici della presidenza dell’Ospedale Gaslini, Beppe Costa terminalista, presidente del Palazzo Ducale e di Costa Edutainement, fervido e impegnato, ma non certo in politica, Augusto Cosulich della nota famiglia genovese e triestina, grande feeling con i cinesi, oggi alla testa di un sistema di 155 società e che continua a investire, il Rina società di certificazione, trasformata da Ugo Salerno, un napoletano diventato genovese di adozione, in un vero colosso con sede centrale a Genova e ramificazioni nel mondo.
Lavorano un po’ nascosti grandi gruppi immobiliari, padroni di pezzi interi di città, come i Luce, ma non sono certe figure che vogliono emergere in una società che si restringe sempre di più.
E’ allora chiaro che in questo quadro la decapitazione appare sempre più evidente. Chi rappresenta la città fuori dalle sue mura? Non certo il drappello dei parlamentari, nei quali non ci sono figure di spicco, per carità tutti seri e impegnati, ma leader……Non c’è neppure più un cardinale in una città che ne aveva avuti di grande importanza, da Siri, tre volte Papa mancato, a Dionigi Tettamanzi, poi arcivescovo a Milano e grande dotto della Chiesa, a Tarcisio Bertone, segretario di Stato, a Angelo Bagnasco, per dieci anni presidente Cei.
Oggi l’arcivescovo senza berretta cardinalizia è un frate francescano, Marco Tasca, che gira in saio e viaggia in taxi e applica la politica sobria di papa Francesco, vivendo in convento e con un impegno esclusivo nella sua Chiesa per cui lavora in tempi così complessi.
Altro che la “cappa magna”, lunga 11 metri, che Siri sfoggiava nei primi anni del suo magistero record di 41 anni.
Altri tempi, altri stili. E allora ci si può consolare con Cristoforo Colombo e le sue vestigia. Di tanto in tanto mentre la sua patria scivola…..