Era il giugno del 2018, più o meno – politicamente parlando – un’era geologica fa. Nell’Aula del Senato, l’allora neo premier Giuseppe Conte presentava fiero il programma del suo governo giallo-verde (quindi Lega più Movimento 5 Stelle).
“Metteremo fine al business dell’immigrazione cresciuto a dismisura sotto il mantello della finta solidarietà – tuonava Conte tra gli applausi dei leghisti e dello stesso Matteo Salvini -. Non siamo e non saremo razzisti. Noi difendiamo gli immigrati che arrivano regolamente sul nostro territorio, lavorano e si inseriscono nelle nostre comunità. Ma per garantire l’integrazione, dobbiamo combattere con determinazione il traffico di esseri umani e riorganizzare le forme di accoglienza, eliminando le infiltrazioni della criminalità organizzata”.