Una democrazia deve tutelare la sovranità dello Stato attraverso adeguati strumenti dissuasivi che impediscano le attività di tipo aggressivo.
Prima del ciclo “mussoliniano”, le marmaglie comuniste erano combattute dalle marmaglie fasciste perché i governi dell’epoca non esercitavano il potere statuale.
I partiti cosiddetti “liberali” di quel periodo avevano provocato il più grande fenomeno migratorio degli italiani che erano ridotti alla fame. Mussolini cercava le colonie per mandarvi i contadini a zappare la terra.
Non dobbiamo avere paura della attuale “curiosità mediatica” verso il ventennio fascista. Bruno Vespa, Aldo Cazzullo, Antonio Scurati e numerosi altri, pubblicano libri su Mussolini, perché fanno “cassetta”.
Democrazia e sindacato
Si tratta di testi divulgativi che circolano solo in Italia, scritti da autori che interpretano il passato secondo i canoni valoriali dei nostri tempi. Per capire cosa pensava veramente la “gente” nella democrazia di un secolo fa, si dovrebbe pubblicare la biografia “Dux” di Margherita Sarfatti del 1926, che aveva venduto oltre un milione di copie nel mondo ed era stata tradotta in diverse lingue.
Un’altra ragione per cui non si può paragonare l’Italia di oggi con quelle fascista, è l’introduzione del suffragio universale. Nell’Italia dei “regnicoli” votavano solo i “maggiorenti” ossia chi pagava le tasse, mentre erano escluse le donne. Oggi possono votare tutti e tuttavia la maggioranza degli italiani esercita questo diritto nella stessa percentuale dei tempi delle vecchie monarchie dinastiche.
Anche nei paesi a democrazia compiuta, dove ciascuno può partecipare alla vita politica, il mito dell’uomo forte si riaccende quando le istituzioni elette dal popolo appaiono deboli e inefficienti.
Il primo diritto che i governi “antidemocratici” mettono in discussione è quello “sindacale”.
La rivoluzione francese
La rivoluzione francese dei “borghesi”, aveva proibito i sindacati, con la motivazione che “uno stato assolutamente libero non può permettere l’esistenza nel suo seno di corporazione alcuna”. Certamente tutte le organizzazioni che rappresentano interessi di categoria, per loro natura sono corporative.
La corporazione più nota nell’Italia del miracolo economico era quella dei “portuali” e il suo massimo esponente era il mitico Paride Batini. Batini affermava in modo chiaro che solo occupando fisicamente l’area portuale si poteva avere la forza contrattuale di imporre elevate tariffe e quindi avere alti salari.
Ma cosa accade se l’utente del servizio non è l’imprenditore ma l’intero popolo? In questo caso le rivoluzioni “popolari” proibiscono lo sciopero, come accadeva nell’ex Urss ed accade oggi in Russia e in Cina.
E’ molto difficile che le moderne democrazie approvino leggi limitative del diritto di sciopero contro lo Stato; solo Reagan c’era riuscito e per questa ragione venne rieletto e infine rimpianto dagli americani.
In questa materia, le democrazie devono scegliere tra due diritti costituzionali tutelati: quello dei lavoratori a bloccare i trasporti pubblici per rivendicare più elevati salari e quello dei cittadini a disporre di trasporti efficienti. Le istituzioni vincono la partita quando riescono a convincere gli elettori che le categorie protestatarie stanno abusando dei propri diritti.
Nell’Italia democratica è in atto un processo di delegittimazione “politica” dei cosiddetti “diritti organizzati”, che consiste nel far pagare al cittadino le conseguenze di un disservizio, fino al punto che l’opinione pubblica chiede l’intervento autoritario. E’ quanto sta accadendo per i Sindacati e la Magistratura, le corporazioni più “potenti” del paese.
L’impiegato a reddito fisso che auspica una imposta patrimoniale per elevare i propri stipendi, quando esistono masse enormi di disoccupati, è un esempio di lotta delle classi “privilegiate” contro quelle “sacrificate”.
La massima espressione di disprezzo verso ipoveri è stata quella dei dipendenti della Banca d’Italia che hanno minacciato di scioperare per arrotondare le loro remunerazioni da capogiro.
Il conflitto in atto, è quello tra i valori ideali delle democrazie e le esigenze materiali del paese che mutano ai ritmi del progresso economico e tecnologico. Il supremo bisogno dell’uomo è lo Stato che esercita la giustizia.
Agli albori dell’economia, una causa civile che riguardava i confini di un podere agricolo poteva durare trent’anni. Nel sistema di mercato, una sentenza relativa ai destini di una fabbrica che occupa migliaia di lavoratori, deve essere depositata in qualche mese.
L’errore dei magistrati delle ultime generazioni è stato quello di rivendicare un’autonomia corporativa fine a sé stessa, che si colloca al di sopra di ogni altro potere e finisce per identificarsi con lo “Stato”.
La conseguenza di questa posizione ideologica è ovvia: il cittadino considera la Magistratura la responsabile unica del disservizio giudiziario. La “destra al potere” che dispone di televisioni e giornali “privati e pubblici”, sta mettendo in piazza le lacune della “giurisprudenza”, come quella del pluriassassino che non è condannato all’ergastolo per motivazioni “psicologiche”.
L’apprezzamento nei confronti dell’autorità giudiziaria dipende dall’impegno dimostrato nel reprimere la piccola delinquenza. L’ideologia secondo cui il furto commesso in stato di necessità, non dovrebbe trovare sanzione, è lo sbocco naturale di tutte le democrazie inefficienti.
La sinistra “classica” ha sempre teorizzato che il diritto nasce per tutelare la proprietà delle élites di guerrieri, sacerdoti, uomini d’affari e della finanza. In realtà è proprio nelle classi meno agiate che la proprietà viene percepita come diritto inalienabile: a New York, nel Bronx, si può uccidere per il furto di poche decine di dollari.
Il bisogno di uno Stato forte, in grado di garantire la proprietà individuale di tutti, è avvertito nei paesi ex comunisti. L’odierna Costituzione Russa protegge “in eguale misura la proprietà privata, statale, municipale ed altre forme di proprietà”. Una persona come la Salis che invita i senza tetto ad occupare le abitazioni sfitte dei Comuni, in Russia si farebbe qualche anno di soggiorno in un carcere siberiano.
Le “toghe” paventano il pericolo che l’esecutivo possa ledere la loro autonomia, indicando i settori prioritari di intervento.
Di fronte agli inesauribili problemi del paese, non troverei nulla di strano se il governo disponesse che i giudici debbano dedicare le loro forze migliori nel reprimere lo spaccio di droga e i furti nelle stazioni, in stretta collaborazione con le forze dell’ordine, come si verifica in tutte le democrazie nelle quali i Pm dipendono dal potere esecutivo.
Siamo sull’orlo di una guerra globale, esiste il rischio che arrivino in Italia masse destabilizzanti dell’ordine pubblico agli ordini dei “paesi del terrore”. Questo rischio è avvertito dai popoli europei anche se non è politicamente corretto dirlo.
Giudicherei positivamente il fatto che i servizi segreti si infiltrassero nei gruppi islamici o nostrani che buttano le bombe-carta contro poliziotti e carabinieri, per capire, ad esempio, chi li finanzia.
L’aperta ostilità di alcuni magistrati che ricoprono ruoli nevralgici, rispetto alla lotta governativa contro l’immigrazione irregolare, è segno di un conflitto tra istituzioni, inaccettabile da parte di un paese che deve affrontare il giogo della “prima accoglienza”.
La conseguenza di tutto ciò è che il paese ha perso fiducia verso la Magistratura che considera un “corpo” separato”. La gente avverte che la Magistratura non è in grado di gestire se stessa.
Eppure, dinnanzi ad un compito immane come quello di garantire una giustizia nei tempi necessari, occorrerebbe una stretta collaborazione tra tutte le istituzioni, se non altro per suddividere le responsabilità.
Ciò detto, affermo che la nostra Magistratura si staglia eticamente e professionalmente rispetto a quella americana.
Negli Usa sta prevalendo la “giustizia fai da te”, da parte di chi utilizza le “guardie del corpo” private, autorizzate a uccidere il ladro che cerca di entrare nelle abitazioni.
In Italia si apre un processo se il gioielliere più volte rapinato, spara sul ladro in fuga. Il numero di newyorkesi che hanno fatto richiesta di porto d’armi è più che raddoppiato rispetto all’anno scorso. Pensiamoci bene prima di adottare il sistema giudiziario e poliziesco americano, che non tutela i poveri e gli emarginati.
Esiste un’unica medicina “democratica”: abbandonare l’idea di rappresentare interessi superiori del sistema e di essere gli unici custodi dei relativi diritti.
Uscire dalla civiltà delle “corporazioni” per imboccare la via della democrazia autentica, è difficile come l’emancipazione dell’uomo dalla famiglia o dal villaggio d’origine. Ma è l’unica strada possibile per realizzare una democrazia.