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Politica

Dimissioni la nuova parola d’ordine della sinistra, come nella parabola della trave e della pagliuzza

Dimissioni la nuova parola d’ordine della sinistra, come nella parabola della trave e della pagliuzza.

L’italiano è una lingua che ha tanti sostantivi, aggettivi, avverbi, sinonimi. Ma uno solo piace da morire al Pd e ai suoi scomposti alleati: dimissioni.

Non c’è giorno o quasi che non la pronuncino in maniera netta. Ora è la volta del ministro della giustizia Carlo Nordio, il quale si è permesso di dire che la sentenza del tribunale di Roma sui migranti tornati da noi “è abnorme”.

Scatenati cielo. La sinistra ha reagito con violenza, ha usato toni che hanno poco a che fare con il “politically correct”.

Infine, lo hanno urlato a piena voce quel sostantivo. In parole semplici, Nordio se ne deve andare, deve lasciare il suo posto perché non ne è all’altezza.

Per Schlein sempre dimissioni (degli altri)

Dimissioni la nuova parola d’ordine della sinistra, come nella parabola della trave e della pagliuzza – Blitzquotidiano.it (foto Ansa)
Dimissioni la nuova parola d’ordine della sinistra, come nella parabola della trave e della pagliuzza – Blitzquotidiano.it (foto Ansa)

La domanda da porre a Elly Schlein è questa: lo ricorda la segretaria che in Italia si vive in democrazia? Possibile che non si possa esprimere un giudizio? Se non la pensi come noi, devi tornare a casa.

Ecco, appena Nordio si è espresso per giudicare una decisione dei magistrati il Pd è insorto e senza mezzi termini ha espresso il suo verdetto.

Stavolta nell’occhio del ciclone è finito il Guardasigilli, ma prima di lui nel mirino della sinistra ecco i nomi dei ministri Roccella e Santanchè, del sottosegretario Del Mastro e di altri con nomi meno altisonanti.

Ma silenzio sbaglia uno di sinistra

Un giudizio a senso unico, perché quando è un esponente della sinistra che scivola e ne combina una più del diavolo, Via del Nazareno tace e insieme con “lui” gli inseparabili Fratoianni e Bonelli.

Se vogliamo buttarla in farsa potremmo ricordare quel famoso adagio il quale sostiene che “una mela giorno toglie il medico di torno”. Provate a cambiare il sostantivo ed il gioco è fatto.

Così ai giudici è concesso il diritto di svuotare il programma del centro destra, di sentenziare quali sono i paesi sicuri e meno sicuri, di legalizzare l’immigrazione irregolare.

E’ proprio tutto storto quello che sta facendo il governo guidato da Giorgia Meloni? A stare ai dati non sembra così, perché la disoccupazione è calata, lo spread è ai minimi termini da tre anni, si stanno studiando nuove leggi che diano respiro al Paese.

Certo non sono tutte rose quel che fioriscono nei dintorni di Palazzo Chigi, ma se dobbiamo dar retta ai sondaggi, la luna di miele con gli italiani non è finita se è vero, come è vero, che le preferenze per Giorgiaoscillano intorno al trenta per cento.

Tutto questo per la semplice ragione che la maggior parte della gente non crede che la Meloni sia un pericolo più forte di Berlusconi (ammesso che lo sia stato), che la magistratura possa dettar legge e sostituirsi all’esecutivo.

E’ un panorama che è incontrasto con i princìpi della democrazia. Sostiene la destra: “Non c’è decisione politica che non sia sottoposta al giudizio di un giudice o di un pubblico ministero.”. Non è così, fortunatamente. Però non si deve chiudere la bocca a quanti la pensano in maniera diversa, come nel caso del ministro Nordio.

L’opposizione ha il sacrosanto dovere di fare “il cane da guardia” di chi è al potere, ma andare oltre significa non ottemperare alle regole della democrazia.

La sinistra si oppone, ritiene che le sue richieste non siano discutibili. Finita la passione di parlare di fascismo ogni volta che se ne presentava l’occasione, ora è la volta di andare a cercare il pelo nell’uovo purchè questo dia fastidio all’esecutivo. Presto si tornerà a puntare il dito contro il premierato, l’autonomia differenziata (con il referendum), la riforma della giustizia, la scuola, la sanità.

Problemi che meritano di essere esaminati e studiati, ma con raziocinio e senza pregiudizi. Dire “no e basta” non è il compito della minoranza. Essa ha un diritto ben preciso, nessuno lo disconosce, ma non sarebbe meglio incontrarsi e discutere per trovare finalmente un denominatore comune che possa giovare non all’uno o all’altro schieramento, bensì al Paese? Si chiede troppo?

 

Bruno Tucci

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