Dress code, ovvero: come è doveroso vestirsi per entrare a Montecitorio o a Palazzo Madama? Forse a settembre, dopo le ferie estive, si dovrebbe tornare all’antico.
Fortunatamente, aggiungiamo, perché oggigiorno vedere un deputato o un senatore con le scarpe da ginnastica o con una maglietta a giro collo sotto la giacca, era per lo meno sconcertante. Si dice che l’abito non fa il monaco: stavolta è vero il contrario perché un rappresentante del popolo non può sedersi in aula o in commissione come se andasse a fare una gita piuttosto che recarsi allo stadio ad assistere ad una partita di calcio.
“E’ una questione di decoro”, dicono quelli che vorrebbero un ritorno al passato. “Il decoro è un’altra cosa”, rispondono i pentastellati. Qui non si tratta di dare ragione ad uno e torto all’altro. Il motivo è che quando queste immagini arrivano, attraverso la tv, all’estero che cosa potranno pensare gli stranieri dei parlamentari italiani?
Per il momento una decisione ufficiale non è stata presa: sarà l’ufficio di presidenza a stabilire le regole del “dress code”, cioè per tradurla in italiano, una regola dell’abbigliamento che tutti dovranno osservare: compresi i giornalisti che si occupano di politica e passeggiano per ore in Transatlantico o un visitatore che vuol andare a trovare un parlamentare.
Come si è arrivati a questo deludente modo di comportarsi? Per grado, un poco alla volta. Tra i primi furono i radicali con in testa il loro numero uno, Marco Pannella. Poi, siccome l’unione fa la forza, è cominciato il declino fin quando qualcuno ha detto basta.
Chi ha i capelli bianchi ed una buona memoria ricorderà tempi diversi, quelli in cui permettersi di entrare in Parlamento senza la cravatta era impossibile. Si veniva fermati da un commesso che vietava assolutamente l’ingresso a meno che non si voleva andare incontro ad una sanzione disciplinare.
Cosicchè a volte un giornalista che aveva avuto il compito di scrivere un articolo di politica si doveva accontentare delle notizie diffuse dalle agenzie di stampa senza poter fare altro. Una esagerazione? “Niente affatto”, sostiene chi ha memoria del passato. Una Camera o un Senato frequentato da persone che osservavano alla lettera il “dress code” mettendo in un angolo chi trasgrediva questo modo di comportarsi.
Qualche volta una cravatta dimenticata a casa poteva impedire la presenza in aula o in una riunione delle commissioni. Era talmente vero questo credo che spesso, se non sempre, deputati e senatori ne conservavano un paio in un loro armadietto personale. Esempio seguito dai giornalisti più scrupolosi.
In autunno, dunque, rivedremo il Parlamento degli anni sessanta-settanta? Se l’ufficio di presidenza confermerà l’orientamento della maggioranza (numerica, non politica), il “dress code” diventerà un obbligo per tutti. Le scarpe da ginnastica potranno essere buone per una partita di tennis, le camicette colorate e sgargianti dovranno rimanere chiuse in un cassetto in attesa di tempi migliori, la giacca come la cravatta saranno obbligatorie. In parole più semplici, il decoro avrà finalmente la meglio. Con la buona pace di coloro che volevano cambiare le aule parlamentari nelle gradinate di uno stadio. Alla ripresa dei lavori, tireremo le somme.