Ecco come il fascismo arriva in America. Ma potrebbe applicarsi a qualsiasi angolo del mondo, Italia inclusa. È il titolo di un articolo da incorniciare e conservare, pubblicato nel 2016 sul Washington Post da Robert Kagan, politologo conservatore che ha clamorosamente lasciato il giornale dopo la decisione del proprietario Jeff Bezos (Amazon) di non schierarsi per Kamala Harris. Probabilmente Bezos ha avuto paura di possibili ritorsioni da parte di Trump in caso di vittoria e ha considerato in invece le prospettive di dí lucrosi appalti governativi.
L’articolo di Kagan, autore nel 2008 di un libretto di poco più di 100 pagine intitolato “Il ritorno della storia e la fine dei sogni” che definisce in modo conciso e chiaro i nuovi scenari della politica mondiale, appare validissimo ancora nel 2024, alla vigilia delle elezioni presidenziali americane.
E appare anche un eccellente contributo alla comprensione del fascismo, malattia degenerativa della democrazia ancora nel ventunesimo secolo.
Ciò che Trump offre ai suoi seguaci, scrive Kagan, non sono rimedi economici: le sue proposte cambiano ogni giorno. Ciò che offre è un atteggiamento, un’aura di forza cruda e machismo, una vanagloriosa mancanza di rispetto per le finezze della cultura democratica che, secondo lui e secondo i suoi seguaci, ha prodotto debolezza e incompetenza nazionale.
Le sue dichiarazioni incoerenti e contraddittorie hanno una cosa in comune: provocano e giocano su sentimenti di risentimento e disprezzo, mescolati a briciole di paura, odio e rabbia.
Il suo discorso pubblico consiste nell’attaccare o ridicolizzare una vasta gamma di “altri” (musulmani, ispanici, donne, cinesi, messicani, europei, arabi, immigrati, rifugiati) che descrive come minacce o come oggetti di derisione.
Il suo programma, così com’è, consiste principalmente in promesse di essere duro con gli stranieri e le persone di carnagione non bianca. Li deporterà, li bloccherà, li costringerà a sottomettersi, a pagare o a tacere.
Che questo approccio da duro, da arrabbiarsi e vendicarsi gli abbia fatto guadagnare un seguito sempre più ampio ed entusiasta ha probabilmente sorpreso Trump quanto chiunque altro.
Lo stesso Trump è semplicemente e letteralmente un egomaniaco. Ma il fenomeno che ha creato e che ora guida è diventato qualcosa di più grande di lui e molto più pericoloso.
Mentre Alexander Hamilton osservava lo svolgersi della Rivoluzione francese, rievoca Kagan, temeva in America ciò che aveva visto accadere in Francia: che lo scatenamento delle passioni popolari avrebbe portato non a una maggiore democrazia, ma all’arrivo di un tiranno, che sarebbe salito al potere sulle spalle del popolo.
Questo fenomeno, commenta Kagan, è emerso in altri paesi democratici e quasi democratici nel corso dell’ultimo secolo ed è stato generalmente definito “fascismo”.
Anche i movimenti fascisti non avevano un’ideologia coerente, nessun insieme chiaro di prescrizioni per ciò che affliggeva la società. Il “nazionalsocialismo” era un insieme di contraddizioni, unite principalmente da ciò a cui si opponeva e a chi; il fascismo in Italia era antiliberale, antidemocratico, antimarxista, anticapitalista e anticlericale.
Il fascismo di successo non riguardava le politiche, ma l’uomo forte, il leader (Il Duce, Der Führer), a cui poteva essere affidato il destino della nazione. Qualunque fosse il problema, poteva risolverlo. Qualunque fosse la minaccia, interna o esterna, poteva sconfiggerla, e non era necessario che spiegasse come.
È così che il fascismo arriva in America, non con stivali militari e saluti (anche se ci sono stati saluti e un sentore di violenza), ma con un imbonitore televisivo, un miliardario fasullo, un egomaniaco da manuale che “sfrutta” i risentimenti e le insicurezze popolari, e con un intero partito politico nazionale – per ambizione o cieca lealtà al partito, o semplicemente per paura – che si allinea dietro di lui.
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