E’ una vera e propria corsa ad ostacoli quella che si corre per andare a Bruxelles. Gli ostacoli sono rappresentati da quel 4 per cento che se non si raggiunge si è fuori dal Parlamento europeo. Niente poltrona, niente gloria, nessuna apparizione nei talk show che ti rendono famoso.
Ecco allora che i big della politica italiana non si lasciano sfuggire un’occasione così ghiotta. Correrà Giorgia Meloni, uguale sarà il sogno di Elly Schlein, Antonio Tajani vorrà confermare che l’eredità politica di Berlusconi non è andata in fumo. In extremis pure Calenda non sa dire no e sarà capolista del suo partito, Azione. Anche Lucia Annunziata che parlamentare non è ha fatto una brusca marcia indietro: “Non mi candiderò mai per andare a Bruxelles. Chi lo dice nel Pd non mi conosce”. Eccola, invece, nelle file dei dem voluta sopratutto dalla segretaria.
Perchè tanta smania come forse non era mai successo? E’ per via del sistema proporzionale con cui si voterà. Niente alleanze, niente inciuci dell’ultima ora. Ognuno difende il suo orto e si deve guardare anche dal più “fedele” degli alleati.
E’ una guerra spietata per le preferenze e per i risultati che potrebbero cambiare il volto dell’Europa: diversa da un punto di vista politico, più libera, meno dipendente dagli Stati Uniti. E’ il pensiero costante di Giorgia Meloni (solo Giorgia per gli elettori) candidata in tutte le circoscrizioni affinché il suo partito vinca o stravinca dappertutto. Ugualmente Antonio Tajani, capogruppo senza avversari, per due traguardi: dimostrare che l’éra Berlusconi non è mai morta e diventare il secondo partito della maggioranza. Eddy Schlein rischia grosso. Sa che nel partito non tutti sono con lei. Anzi. I moderati del Pd (così si definiscono) l’aspettano al varco e se la segretaria non arrivasse a superare il venti per cento, i suoi amici-nemici gliela farebbero pagar cara.
Elly è cosciente di questa situazione e per placare gli animi di coloro che la vorrebbero già all’angolo ha rinunciato a presentarsi in tutte le circoscrzioni. Sarà primus inter pares soltanto nel centro e nelle isole e che Dio gliela mandi buona. Se questo è il modello Carlo Calenda si indispettisce: “Correrò anch’io perché il mio partito non rimanga fuori dal parlamento europeo”. Calenda aveva predicato in un solo modo: recitava che a Bruxelles dovessero trovar posto soltanto quei candidati che, raggiunto il traguardo, avevano l’obbligo di lasciar perdere le beghe del nostro Paese e interessarsi solo dell’Europa.
Questo è un ragionamento che non sfiora minimamente i big che hanno deciso di correre. Siamo sinceri: volete che il presidente del consiglio con tutti i contrasti che deve risolvere in Italia prenda l’aereo per tuffarsi e impelagarsi in un altro problema? Lo stesso discorso vale per la Schlein e per Tajani. Si presentano solo per prendere voti e quindi il maggior numero di poltrone al Parlamento europeo. E’ un discorso serio per la difesa del nostro vecchio continente? Se vogliamo essere sinceri al massimo, dovremmo dire che questo non è il modo migliore per proteggere l’Europa dagli assalti delle grandi potenze straniere. Chi ha scelto diversamente è di parere contrario. Ritiene che gli uomini o le donne che vinceranno saranno degne del posto che occupano e saranno lì sette giorni su sette. Pochi ci credono perché Bruxelles ha sempre rappresentato un trampolino di lancio per tornare in Italia e avere più voce in capitolo nelle mura di casa. “Votatemi e basta”, sembrano dire i concorrenti.
A rimaner fuori dalla “lotta” è Matteo Salvini, il quale temendo il peggio, si aggrappa ad un outsider, quel Roberto Vannacci che rimane forse l’ultimo baluardo a cui si appiglia il segretario della Lega.
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