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Politica

Elezioni in Liguria, Bucci o Orlando? Il voto delle scatole cinesi e i suoi riflessi nazionali

Elezioni in Liguria, Bucci o Orlando? Tutti a Genova, di corsa in piazze diverse per il duello finale, la Schelein con Conte e i gemelli del gol Fratoianni&Bonelli e Calenda via skype, che non si sa mai.

E dall’altra parte tutti rigorosamente presenti perfino Georgia Meloni, sgusciata via dalla manovra e dal mal di pancia dei suoi ministri casinisti, Matteo Salvini che è in Liguria da giorni e giorni, scatenato a spingere Bucci e Tajani ministro degli Esteri, rimbalzante da un vertice all’altro del mondo in guerra.

Lo sprint finale di una campagna per conquistare i voti di un milione e trecentomila abitanti della penultima regione italiana per  popolazione serve a vincere, ma anche a cercare di ridurre l’incubo dell’astensione, che potrebbe arrivare sopra il 50 per cento.

Voterebbero poco più di seicentomila abitanti, poco più di quelli di Genova città, dove si decide questa sfida per l’importanza del capoluogo, numerica e strategica.

E’ una campagna nata da uno scandalo giudiziario, dalle dimissioni del precedente presidente Giovanni Toti, arrestato, dimessosi e poi patteggiante con grande rumore perché così ha ammesso almeno in parte una responsabilità.

Lo scandalo Toti non impressiona in Liguria

Elezioni in Liguria, Bucci o Orlando? Il voto delle scatole cinesi e i suoi riflessi nazionali – Blitzquotidiano.it (foto Ansa)

 

Ma questa “ferita” non sembra avere inciso nel match tra il candidato alla fine scelto a destra con Marco Bucci, il sindaco a sua volta ferito da una malattia grave conclamata anche da lui e fieramente combattuta.

E Andrea Orlando, il pluriministro democratico, politicamente vissuto più a Roma che in Liguria nella sua Spezia, che non è simpatica ai genovesi. E questo conterà molto nell’urna.

E’ stata una campagna corta, bruciante, fatta inizialmente di scontri polemici, quasi insulti poi diventata razionale, senza mai confronti diretti tra i due candidati presidenti più importanti.

Ma con una pletora di incontri tra tutti e nove i candidati, anche quelli più improbabili, che rischiano lo 0,5, ma si sono impegnati con onestà, come se potessero vincere. Incontri in verità noiosi, ripetitivi, poche domande, risposte strette nel minutaggio.

Si è capito poco, forse più le idee della politica generale dei contendenti che la loro visione ligure.

Questa visione, invece, sbuca molto di più, ovviamente, tra Bucci, il sindaco che grida, urla, che ha fatto il Ponte Morandi in 18 mesi e si dipinge come l’uomo del fare.

E Orlando l’apparatikit venuto dal lontano Pci, ministro quattro volte, intelligente, un po’ gelido, accusato di rappresentare il partito del no a tutto. Secondo uno schema un po’ stantio e anche ingiusto.

Dalla campagna che, in caso di vittoria di Bucci, servirà a inaugurare quella successiva derivata dalle sue dimissioni da sindaco per mettere in gioco il Comune di Genova entro la Primavera del 2025 con ben tre anni di anticipo sulla scadenza naturale, emergono non solo figure tanto diverse, ma Ligurie contrapposte.

Quella di Marco Bucci, che nella battaglia è cresciuto di vigore e anche di conoscenza dei temi liguri in partenza sconosciuti, è un po’ diversa da quella di Toti, famoso oramai per il totismo, la sua trascinante politica di grande comunicazione, esibizione di visibilità, eventi annunci, a coprire anche una certa inconsistenza realizzativa. Ma una frenetica capacità di relazione generalizzata nel Paese e una confidenza con leader e problemi istituzionali anche complessi.

Bucci promette ospedali

Bucci è più un realizzatore o almeno promette di esserlo,elencando addirittura 19 grandi infrastrutture da completare nel suo mandato, compresi i 5 ospedali che Toti non ha neppure incominciato.

Insomma un presidente che promette di “fare”, di spingere l’ottimismo che crede di avere infuso a Genova in tutta la Regione. Nella quale le aspettative non sono poche e non solo per le Grandi Opere.

Questo mantra ripetitivo e ossessivo ma riguardano proprio la Sanità, che si presenta con un buco di 230 milioni di euro e liste di attesa ignobili con una fuga dei liguri per curarsi altrove, come un’onda inarrestabile.

Orlando, che ha fatto una scelta secca di sinistra nella sua campagna, senza indulgere a cercare di conquistare quel mondo moderato-borghese che Renzi gli avrebbe portato forse, punta non tanto sulle cose da “fare”, ma sulle persone da aiutare, sulle povertà da combattere, sulle fragilità da curare.

Smentisce di rappresentare quel partito di “no”, che viene raffigurato dalla maggioranza uscente e avrebbe frenato in passato la Liguria con le gestioni precedenti di Claudio Burlando e perfino dei sindaci come Marta Vincenzi e Marco Doria.

Le grandi opere si finiscono, ma “bene” dice l’ex ministro di Grazia e Giustizia, promuovendo quelle oramai in itinere e a rischio, se non concluse, di dispersione dei fondi PNRR.

Come il famoso Terzo Valico ferroviario, come la Gronda, la grande tangenziale, attesa da decenni e praticamente non incominciata, anche se già i contribuenti la pagano attraverso i pedaggi in tutta Italia .

Come la famosa superdiga foranea da costruire al largo di quella che più di un secolo fa realizzò per pura beneficenza il duca di Galliera, Raffaele De Ferrari, che aumenterebbe i traffici del porto con l’arrivo delle grandi navi.

Il programma di Bucci è, quindi, roboante, quello di Orlando più sottile, puntato sulla qualità delle scelte, da quelle urgenti di assistenza, sanità a quelle culturali, con l’arrivo finalmente di un assessore delegato a questa materia, ritenuta identitaria e decisiva nella costruzione di un’immagine della Liguria che magari scavalchi quella di Toti, che faceva girare per l’Europa il maxipestello per fare il pesto, mostrato perfino sul Tamigi a Londra.

Bucci punta sul turismo anche rischiando quello over che sta invadendo senza limiti una Liguria asfittica di spazi, comunicazioni, trasporti mentre Orlando vuole reindustrializzare salvando le grandi fabbriche in crisi, Ilva dell’acciaio semiperduto, Ansaldo in rilancio con le centrali, Piaggio degli aerei.

L’elezione per conquistare la Liguria è una partita nazionale che cade a due anni dall’esordio del governo Meloni, per questo ha un valore importante, di anteprima alle altre due elezioni regionali previste nei prossimi mesi, Emilia Romagna e in Umbria, a metà novembre.

E cade proprio durante il diapason dello scontro politica-magistratura dopo il crak dell’operazione Albania.

In Liguria proprio una vicenda giudiziaria ha aperto la partita, il 7 maggio con l’arresto di Toti, di Signorini, ex presidente del porto e del superimprenditore Aldo Spinelli.

Toti ha sempre dichiarato e scritto che il suo caso non rappresentava l’ennesima scontro con i giudici, ma che la responsabilità era piuttosto di una politica che non ha mai regolamentato il rapporto con il finanziamento dei partiti.

Quello che è emerso in questa campagna così rapida è stata l’assenza quasi totale di impegno della società civile, ammessa che questa esista ancora in Liguria, in una forma rappresentativa forte, attraverso associazioni, ordini, gruppi, lobbies.

Pochi endorsment personali e comunque di basso profilo, molti incontri con i candidati della categorie produttive e sociali, ma tutti molto aperti.

La Chiesa che sul piano nazionale dopo decenni sta facendo politica anche in modo evidente attraverso la Cei e il suo leader, Matteo Zuppi cardinale presidente e molti vescovi scesi in campo, per esempio contro la autonomia differenziata, in Liguria non si pronuncia mai.

Neppure sulle emergenze immigranti e sulle progressiva caduta della natalità, che sarebbe un tema suo, sul quale resta celebre l’anatema di papa Wojtyla diretto ai liguri che non facevano figli.

Se la sinistra non vincesse questa partita, dopo la rovinosa caduta di Toti, il processo, la devastante sequenza di intercettazioni pubblicate doviziosamente e il patteggiamento richiesto dai principali imputati, la sua sconfitta segnerebbe la totale fine in Liguria e nelle sue città della possibilità di governare dopo tre ko consecutivi in Regione nel 2015, nel 2020 e ora.

Se invece lo sconfitto fosse Bucci entrerebbe un po’ in crisi Genova, perché il sindaco-candidato dovrebbe meditare sul da farsi tra un rientro nei ranghi, accettando il ko o un ritiro con una partita che si aprirebbe per il Comune e elezioni in Primavera. che sono comunque scontate ancor di più in caso di vittoria.

Insomma il verdetto atteso lunedì nel pomeriggio per la Liguria è un po’ come una scatola cinese, perché contiene altre scatole tutte da aprire.

 

 

 

 

Franco Manzitti

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