Politica

Erdogan in Siria sogna il ritorno all’impero ottomano

Erdogan, il presidente turco, in Siria ha un sogno che fa il pari con il sogno di Osman, mito fondatore della dinastia ottomana.

Erdogan immagina una “nuova” o “grande” Turchia che cerca di far rivivere la gloria dell’Impero Ottomano, con Mustafa Kemal Atatürk, venerato come il “Padre dei Turchi”, che crollò dopo la prima guerra mondiale; i recenti sviluppi in Siria gli hanno fornito l’opportunità di riaccendere queste ambizioni.

Il ritorno dell’impero ottomano, o almeno della sua parte asiatica, è un chiodo fisso dei turchi, che ancora non hanno digerito gli esiti della prima guerra mondiale.

L’eredità ottomana è un argomento di dibattito nazionale in Turchia. Il presidente Recep Tayyip Erdogan ha dichiarato che la Turchia moderna è la “continuazione” dell’Impero ottomano, sostenendo che la Turchia ha bisogno di tornare alle sue radici islamiche, come scritto, anni fa, nel libro “Osman I: The Life and Legacy of the Ottoman Empire’s First Sultan”, di Charles River Editors.

Quando la Siria era provincia della grande Turchia

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Se hai la possibilità di guardare su YouTube un episodio delle centinaia che compongono la serie dedicata a Osman, al suo discendente Solimano o alla regina veneziana Kosem, rimarrai sopraffatto dallo spirito religioso che lo pervade.

Dopo essere stata inizialmente messa da parte nella regione dopo il 7 ottobre, la Turchia ha riconquistato una posizione di rilievo con la spettacolare presa di Damasco da parte dei ribelli e delle fazioni di Hay’at Tahrir al-Sham, strettamente legate ad Ankara, che ha sostenuto l’opposizione siriana contro Bashar al-Assad fin dall’inizio della guerra civile.

Parla Erdogan

Erdogan, in un discorso del 13 dicembre, ha ribadito il suo impegno per l’integrità territoriale della Siria, invocando al contempo una provocatoria riflessione storica, ha affermato: “Quando la prima guerra mondiale ha ridefinito i confini della nostra regione, cosa sarebbe successo se le condizioni fossero state diverse? È altamente probabile che città come Aleppo, Idlib, Hama, Damasco e Raqqa sarebbero state le nostre province oggi. Non siamo gli unici a dirlo, lo dice la storia, lo dice la geografia, lo dice la verità, lo dicono i nostri antenati, lo dice la bandiera turca issata sulla Cittadella di Aleppo”, ha affermato, riferendosi a una bandiera turca issata sulla cittadella iconica di Aleppo poco dopo che i gruppi ribelli avevano preso possesso della città.

Un’analisi politica turca ha suggerito che, sebbene questa retorica possa basarsi su “argomentazioni storiche”, segnala chiaramente che la Turchia intende svolgere un ruolo molto più importante nel futuro della Siria.

Oltre agli attacchi lanciati dall’inizio dell’offensiva ribelle da parte delle forze filo-turche all’interno dell’Esercito nazionale siriano (SNA) contro le roccaforti curde nel nord di Aleppo, molti segnali indicano che la Turchia e i suoi alleati stavano pianificando, da qualche tempo, un’incursione su larga scala in questo territorio controllato dalle Forze democratiche siriane (SDF) e dalla sua milizia curda. I commando turchi sono stati schierati vicino alla Kobane curda, lungo il confine settentrionale con la Turchia.

Forse potrebbe essere imminente un’operazione transfrontaliera turca, volta a stabilire una zona cuscinetto per spingere quella che Ankara ritiene una minaccia esistenziale ai suoi confini.

Alcuni analisti sostengono che le motivazioni della Turchia vanno oltre le preoccupazioni per la sicurezza e sono piuttosto una scusa per servire le sue ambizioni imperialistiche. E questa è in qualche modo un’opportunità unica per Ankara, dopo tutti i suoi tentativi passati.

La questione dei confini della Turchia non è una novità.

Erdogan non ha mai nascosto il suo risentimento verso il Trattato di Losanna, firmato nel 1923, che ha stabilito i confini della Turchia moderna. Credeva che Atatürk avesse fatto delle concessioni territoriali ingiustificate. “La dimensione del nostro territorio, che era di 2.5 milioni di chilometri quadrati nel 1914, è scesa a 780.000 chilometri quadrati quando abbiamo firmato il Trattato di Losanna”, “Coloro che stanno rinchiudendo la Turchia in questo circolo vizioso vogliono che dimentichiamo gli imperi selgiuchide e ottomano”.

Il Patto nazionale, adottato dal Parlamento ottomano nel 1920, rivendicava territori che si estendevano dalla Tracia orientale (oggi parte della Grecia) a Cipro, le isole orientali dell’Egeo, parti della Siria settentrionale, l’Iraq settentrionale, tutta l’Armenia moderna, parti della Georgia e persino l’Iran. 

Lungi dall’essere puramente nazionalista, il progetto neo-ottomano di Erdogan, come altri, adotta una prospettiva più ampia, quasi emotiva, espandendo i confini della Turchia non geograficamente, ma simbolicamente e culturalmente, rafforzando i suoi legami con gli ex territori ottomani. Quando parla di “nazione”, si riferisce a una comunità islamica più ampia, “la Ummah” per far rivivere l’eredità ottomana dai Balcani al Caucaso, al Medio Oriente e all’Africa

Gli Stati Uniti stanno costruendo una base militare nell’area di Kobani, nella Siria settentrionale, a sostegno dello YPG (la branca siriana del PKK, ndr), che Türkiye considera un’organizzazione terroristica.

Come riportato da News.Az, citando Interfax, questa informazione è stata pubblicata dal quotidiano turco Sabah. Secondo il quotidiano, fonti locali hanno affermato che le forze statunitensi hanno lasciato una base nel vicino Iraq, reindirizzando blocchi di cemento e altri materiali da costruzione ad Ayn al-Arab, nota anche come Kobani.

La città di Kobani, situata nella Siria settentrionale vicino al confine con la Turchia, svolge un ruolo critico nelle dinamiche geopolitiche contemporanee. Secondo alcuni resoconti, il nome “Kobani” deriva dal cognome di un ingegnere francese che costruì una strada nella regione all’inizio del XX secolo. Ciò evidenzia i complessi strati storici dell’area, le cui radici risalgono all’influenza europea piuttosto che alle origini siriane.

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Andrea Tucci