
Europa fra Putin e Trump, basta una piazza a metterla in sesto? (nella foto Ansa Giuseppe Conte con Elly Schlein) - Blitz Quotidiano
Sarà una “piazza per l’Europa” quella di sabato prossimo a Roma. Una manifestazione che dovrebbe parlare soprattutto di pace.
Purtroppo questo non è un sostantivo che si addice alla nostra classe politica che nemmeno su questa parola magica trova un accordo.
Una premessa innanzitutto: speriamo che quello spettacolo di piazza del Popolo non si trasformi in una cerimonia politica con bandiere rosse o nere, di qualsiasi colore esse siano. Il dubbio ci assale quando leggiamo che Maurizio Landini e la sua Cgil saranno lì insieme con le migliaia di persone che vorrebbero un futuro tranquillo senza riarmi o idee del genere.
Invece a Bruxelles e dintorni non si parla d’altro: nel 2027 l’Italia sarà pronta insieme ad un esercito formato da 40 mila uomini.
Quel giorno (sabato vogliamo dire) di guerra nessuno dovrebbe parlarne. Propositi che potremmo definire senz’altro buoni, ma che la nostra classe politica pare abbia dimenticato.
Il diverbio è continuo, non si ferma neanche adesso che la situazione internazionale è assai delicata. Macron parla di ombrello atomico, Putin gli fa notare che di quegli “attrezzi” ne hanno a josa. Infine, gli ricorda che brutta fece Napoleone nella sua campagna di Russia.
Al cospetto di un momento così difficile in cui non si parla che di “pericolosi conflitti che si affacciano all’orizzonte”, i nostri abitanti di Montecitorio e di Palazzo Madama dovrebbero comprendere che non si può più scherzare e dividersi su argomenti che non si possono paragonare a quelli di cui, Dio non voglia, dovremmo soffrire.
Nemmeno la piazza unisce Pd e grillini

Sarebbe il caso (non vi pare signori onorevoli?) di avere un atteggiamento diverso dettato dalle futili controversie, se non dalle isterie e dall’invidia di veder prevalere l’avversario.
Invece, la canea non ha mai fine perché non si litiga solo fra ideologie contrapposte, ma pure fra amici di uno stesso partito o di una stessa alleanza. Ecco, dunque, la maggioranza formata da tre forze (si fa per dire): il presidente del consiglio che è anche il leader di Fratelli d’Italia è prudente. Non vuol sentir parlare di riarmo. E’ un sostantivo che la fa sentir male. Non per questo, è contraria ad un disegno europeo, all’ipotesi di un vecchio continente che si rinnovi e pensi ad una indispensabile difesa.
Matteo Salvini non la pensa così: non vuol sentir parlare di iniziative che possano far credere che il futuro si possa tramutare in un conflitto che potrebbe stravolgere il mondo. Non ha dubbi il segretario della Lega e non arretra anche se Palazzo Chigi è più cauto.
Tajani come Fabio Massimo
Antonio Tajani con la sua Forza Italia non è contrario al riarmo, ma usa il “ni”, come per dire: aspettiamo che gli eventi maturino. Forse non è il caso di comportarsi come Fabio il temporeggiatore. E’ tempo di prendere decisioni, se non affrettate, abbastanza urgenti.
Se poi, ci occupiamo della sinistra, il quadro che si presenta ai nostri occhi è ancora più incomprensibile: Elly Schlein vuole una Europa diversa, non disdegna di parlare di armi, sia pure con la dovuta cautela.
Però, contro di lei punta il dito Giuseppe Conte, il quale ogni volta che si presenta un caso, ha sempre un pensiero contrario alla segretaria del Pd. Un conflitto che non finirà fin quando l’avvocato del popolo non si renderà conto che i suoi 5Stelle non sono più il partito di maggioranza.
Magari, pensa fra sé Elly, fosse l’unico a volere la sua pelle. I nemici maggiori sono proprio fra quei dem che non sopportano più il sinistrismo esasperato di via del Nazareno. E’ chiaro che se questo è il palcoscenico diventa estremamente difficile trovare un denominatore comune. Si rimane a guardare? Forse no, però è tempo di essere più decisi e di capire che non è più il momento della guerra casalinga
Le gatte da pelare per Palazzo Chigi sono innumerevoli. Non è solo l’Europa a rendere difficile il sonno di Giorgia. E’ sempre in piedi lo scontro con la magistratura che divide due poteri dello Stato. Il nuovo presidente dell’Anm, Cesare Parodi, ha la stessa caparbietà del suo predecessore con il quale non ci fu dialogo.
Ora, gli esponenti del nuovo corso andranno entro questo mese dal Capo dello Stato. “Non sarà solo un incontro formale”, dice lo stesso Parodi. Che cosa vuol dire? Che loro si affideranno a Mattarella per respingere la separazione delle carriere. La vediamo dura perché questa è una legge su cui Giorgia Meloni non demorde. Chi sarà più caparbio?