Europa in difficoltà. Si moltiplicano in questi giorni segnali inquietanti sia sul piano politico che economico. Europa più fragile che mai: in Germania è caduto il governo Scholz, in Francia l’esecutivo Barnier è durato solo tre mesi (un record dalla introduzione della Costituzione francese, nel 1958); e il nuovo governo a guida Bayrou è partito in salita come ha detto lui stesso (“Davanti a noi l’Himalaya”). In Spagna il governo Sanchez galleggia nelle turbolenze e risente della sconfitta subita alle Europee (ha vinto il Partito Popolare) e più ancora di una legge di bilancio divisiva. Europa indebolita (anche) dai contraccolpi della guerra in Ucraina, delle ricorrenti minacce di Putin (“Però la Russia è disponibile ad accettare un cessate il fuoco a Natale”). Tuttavia lo zar è tornato a mostrare i muscoli e a minacciare l’Occidente, soffermandosi anche sui successi di campo delle sue armate che possono contare “su un flusso infinito di volontari”. Putin, già che c’era, ha pure accusato gli alleati di Kiev, responsabili di spingere la Russia verso le sue linee rosse, situazione che non è più disposto a tollerare.
L’industria non si rialza
C’è anche la preoccupazione economica. L’industria europea non dà segnali confortanti, dall’America a guida Trumpiana si sentono già le ombre dei dazi. La Germania sta attraversando la crisi più grave del dopoguerra; una crisi che ha nella manifattura il suo baricentro come testimoniano gli ultimi indici Pmi. Anche il Papa è intervenuto dicendo che serve una finanza nuova. Preoccupa soprattutto, in tanto bailamme, l’esplosione di incertezza legata ai possibili dazi anche se può non dovessero arrivare; nel frattempo però tanta incertezza demolisce ancor più la fiducia delle imprese. Sui mercati europei non a caso vanno male i principali titoli del settore dell’auto che pagano le indiscrezioni riguardo ad una ferma resistenza di Donald Trump alle richieste arrivate da varie aziende americane di alleggerire la sua posizione sui dazi dei beni importanti negli Stati Uniti. Un brivido che subisce soprattutto Stellantis, il gruppo europeo più esposto alle minacce del Tycoon.
E l’Italia pensa alle grandi manovre per il federatore
Tiene banco il tema del federatore. Dopo le parole di Sala e le dimissioni di Ruffini, il dibattito è diventato sempre più centrale. Spicca il sogno di Paolo Gentiloni che vuole rifare la Margherita. L’ex commissario europeo sostiene che al Pd serva una gamba centrista. Una sorta di Margherita. Ma quella stagione sembra irripetibile perché sono cambiate radicalmente le condizioni e il contesto. Gentiloni ne ha approfittato comunque per elogiare tutti i soggetti che cercano di animare il centro, da Sala a Calenda fino a Renzi. Tutto ciò mentre Andrea Orlando, neo consigliere regionale della Liguria, ha deciso di lasciare il Parlamento per restare nel Consiglio Regionale e “proseguire la battaglia” iniziata con la sua candidatura in Regione “contro una destra arrogante, opaca e che fa interessi di pochi”. A Montecitorio al posto di Orlando entrerà il consigliere comunale genovese Alberto Pandolfo, già segretario provinciale del Pd dal 2017 al 2021.