Fascismo e antifascismo, il senso di parlarne 80 anni dopo? gli italiani capiscono migranti, economia, povertà

Fascismo e antifascismo, non è forse una follia parlarne ancora? Ottant’anni dopo la morte del deprecato ventennio si litiga e il Paese si spacca in due per un termine che non ha più ragione di essere.

Basta un’esclamazione sul fascismo, una parola fuori posto, un minimo errore a scatenare la bagarre e a rendere ancora più complicata una situazione che l’Italia soffre.

I problemi sono altri: l’inflazione, il rapporto con l’Europa, i migranti, l’economia che attanaglia non solo il nostro Paese, ma tutto il vecchio continente.

Invece no. La miopia diventa quasi cecità e non c’è niente da fare. Se non si inventa un braccio di ferro, in Parlamento e anche fuori non ci si diverte.

A cominciare dall’informazione che pur di guadagnare una copia o un punto nell’indice di ascolto rende addirittura incomprensibili certi argomenti che sono lapalissiani.

Non è una questione di destra o sinistra (e magari anche di centro): tutto è buono per innescare una polemica.

Pure un semplice intervento a voce alta durante la prima della Scala. L’Italia è per il fascismo o è antifascista? Lo è dalla fine della seconda guerra mondiale.

Da allora, non ha più senso parlarne a meno che non si voglia andare alla ricerca di una lite ad ogni costo.

Cosicché chi dovrebbe leggere o vedere in tv notizie che debbono far riflettere finisce col non raccapezzarsi più e ritiene che in Italia tutto va bene madama la marchesa.

Sappiamo invece che la realtà è un’altra: il deficit nel bilancio, i pochi soldi che ci sono per la manovra, gli aiuti che ci debbono venire dall’Europa, la sopravvivenza di migliaia di famiglie che spesso non sanno come mettere insieme il pranzo con la cena.

Il paradosso riguarda tutti: maggioranza e opposizione.

Chi governa, talvolta, si lascia andare e usa termini fuori luogo che danno l’assist all’opposizione di intervenire a ragione, perché determinate questioni si potrebbero risolvere con un maggiore raziocinio.
Al contrario, si dà inizio ad una “guerra” che non ha senso e che l’opinione pubblica non capisce rimanendo stupefatta.

Per non esser da meno, chi deve fare il cane da guardia indispensabile in una democrazia, invece di ribattere e cercare insieme una soluzione che possa garantire tutti, prende la palla al balzo e risponde in modo che ogni possibilità di raggiungere una “pace” diventa quasi impossibile.

Ad arroventare il clima ci si mette pure il dissenso fra fascismo e antifascismo. Questo divario poteva essere comprensibile (anzi lo era) agli inizi degli anni cinquanta, quando perdemmo la guerra (o la vincemmo dopo l’armistizio dell’otto settembre).

Oggi soltanto chi specula e vuole mettere una bandierina che possa dimostrare la sconfitta dell’avversario si comporta in questo modo.

Dall’altra parte non si tenta di gettare acqua sul fuoco, preferisce la benzina, così il dibattito si incendia. C’è chi pensa che un tale atteggiamento lo si ha perché l’avversario non possa colpire con un pugno da KO.

O anche perché lo si vuole distogliere quando è all’angolo e non sa come difendersi. Insomma, come si direbbe usando un termine calcistico, butta la palla in tribuna per prendere tempo e tentare di non perdere.

Ecco allora come i tanti problemi che assillano il nostro Paese non vengano risolti usando il raziocinio.
Ci si incontra, si apre un tavolo perché la trattativa possa pure dare risultati insperati. Come nel caso dei femminicidi quando Giorgia Meloni ed Elly Schlein capirono la delicatezza del momento e decisero di lavorare insieme per raggiungere un accordo che fu votato all’unanimità in Parlamento.

Questo è un esempio che i nostri uomini che siedono e lavorano nel Palazzo dovrebbero sempre seguire. Per due motivi.

Primo: per dimostrare a chi li ha votati che non hanno commesso un fondamentale errore.Secondo , perché l’Italia non ha bisogno di guerreggiare su temi che non hanno più ragione di essere, ma solo di andare alla ricerca di un “quid” che possa ridare al Paese il prestigio di sempre.

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Bruno Tucci