Emmanuel Macron aveva fatto una sciocchezza nel dar via libera in Francia al governo Barnier. Aveva disatteso il voto degli elettori, “l’arco repubblicano” che si era creato al secondo turno delle politiche per sbarrare la strada all’estrema destra. Sonoramente sconfitto nelle urne, il Presidente della Repubblica ha voluto continuare a tirare i fili della politica interna, dando l’incarico a Michel Barnier e accettando l’idea di un governo con la “non sfiducia” di Marine Le Pen.
Tre mesi dopo, con la probabile caduta dell’esecutivo, Macron dovrà rendersi conto del suo errore: Barnier lo ha isolato e Marine Le Pen farà cadere il Primo ministro con la sfiducia su uno dei provvedimenti della Finanziaria.
Pur di dimostrare il suo potere in parlamento, Le Pen voterà la “mozione di censura” presentata dalla sinistra, malgrado in essa ci siano parole denigranti verso il suo partito: “Il testo conta poco, l’importante è la sfiducia”, ha detto uno dei suoi luogotenenti.
Si aprirà così una crisi al buio, come ce ne sono state tante da noi. Sotto la Quinta Repubblica, però, di crisi così non ce ne sono mai state. Nel 1962, il governo Pompidou venne sfiduciato e si andò alle urne. Ma adesso il ricorso al Paese è impossibile: Macron non può sciogliere l’Assemblea nazionale fino a giugno. E nessuno sa quali siano le sue intenzioni.
Le possibilità sono poche. L’idea di un governo tecnico è debole. Manca un Mario Draghi e la sfiducia parlamentare potrebbe arrivare rapidamente.
L’ipotesi di chiamare Bernard Cazeneuve, Primo ministro di Hollande, potrebbe rifar capolino: in settembre fu bocciata dai socialisti, che questa volta potrebbero invece scrollarsi di dosso la tutela della sinistra radicale di Jean-Luc Mélenchon.
Per Macron sarebbe uno smacco, ma non è più lui a dare le carte. Del resto, la crisi andrà risolta senza perdere troppo tempo: i mercati cominciano a entrare in fibrillazione e il Paese ha bisogno di un governo. Altrimenti diventerebbe concreto il pericolo di una crisi istituzionale, che potrebbe costringere Macron alle dimissioni.
Non siamo a questo punto, ma è ovvio che la mossa di Marine Le Pen mira in fondo proprio a uno scenario di quel tipo. Inguaiata dal processo per appropriazione indebita dei fondi dell’europarlamento, la leader dell’estrema destra rischia grosso: il Pm ha chiesto cinque anni di carcere, di cui solo tre con la condizionale, e soprattutto l’ineleggibilità per cinque anni con esecuzione immediata. La sentenza arriverà il 31 marzo e da quel giorno, forse, Le Pen non potrà più candidarsi all’Eliseo.
Ma è difficile che Macron le faccia il favore di togliersi di torno così facilmente. A lei e Mélenchon piace vedersi finalisti delle prossime presidenziali, ma la politica francese si è ormai ingarbugliata come altrove e non c’è più nessuno in grado di dettar legge.
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