Chiamarlo Doge è perfino riduttivo, perché Marco Bucci. in questo momento, dopo avere vinto per 8 mila voti le elezioni regionali, non è solo il presidente della Liguria. Resta, seppure per pochi giorni, ancora il sindaco di Genova e presidente della città metropolitana (cioè della ex Provincia), e è anche commissario per la costruzione della superdiga portuale, la più grande opera cantierata in Italia.
E getta la sua influenza sul tanto infiammato porto di Genova e sul suo sistema intero, che comprende Savona, dove sono in carica due commissari in mancanza del presidente da oramai ben più di un anno.
Per quanto questo potere formale si ridurrà nelle prossime settimane, quando Bucci dovrà lasciare la carica di sindaco e quelle connesse, il potere sostanziale rimarrà eccome. Il Comune di Genova sarà retto dal suo vice di questi anni l’avvocato Pietro Picciocchi, il delfino destinato, salvo sorprese, a correre nelle elezioni anticipate di primavera per il centro destra.
E non è difficile capire che la catena di comando i tra la nuova Regione bucciana e il Comune post bucciano sarà molto stretta. Al punto che un altro super assessore di Bucci in Comune, Matteo Campora, eletto in Regione con lui, ha rinunciato alla nomina in giunta per fare l’uomo di collegamento con il Comune, una specie di vicerè tra le due istituzioni.
Superate le difficoltà della sua malattia conclamata e a quanto pare ben domata con la sua verve, il sindaco-presidente-governatore-commissario è saltato sul nuovo superuolo con la sua classica carica che lo aveva fatto soprannominare “o scindecu ch’o cria”, il sindaco che grida.
Bucci ha incominciato a urlare anche in Regione, nel primo giorno di insediamento nei nuovi uffici regionali ha convocati tutti i dirigenti delle Asl liguri e li ha strigliati a voce altra, avvertendoli che se non si daranno da fare subito per ridurre la voragine del deficit di 231 milioni della Sanità, “li sbatterà fuori”.
E ha già organizzato un meccanismo tra questi dirigenti e Liguria digitale per incominciare a ridurre le liste di attesa che sono la croce della sanità ligure, il vero peso di un sistema che la precedente giunta, quella di Giovanni Toti, non aveva neppure scalfito.
Saltando dall’ufficio della Regione, nella mitica piazza De Ferrari, di fronte alla Fontana, a palazzo Tursi, la sede del Comune non molto lontano, Bucci rimbalza tra un ruolo e un altro con una velocità impressionante.
Molte opere comunali, che erano un po’ ferme, sono improvvisamente ripartite, a incominciare dal progetto per uno skymetro in Valbisagno che “liberi” una importante area genovese dall’isolamento da traffico intenso.
Altri progetti, come quello di trasformazione dell’Hennebique, l’immenso silos granario che domina le banchine del vecchio porto, affidato alla ditta Vitali di Milano e che dormiva da anni, si è improvvisamente scosso. Bucci vuole dare una spinta al Comune perché il distacco di 18 mila voti che il centro sinistra ha guadagnato rispetto al centrodestra va colmato.
Altrimenti, dopo sette anni e mezzo, l’alleanza che governa Genova sarà scalzata come il Pd e i suoi alleati già pregustano, con la paura però di fallire, come hanno appena fatto in Regione, non conquistandola malagrado lo scandalo giudiziario, che aveva decapitato la Regione.
Un Bucci scatenato in lungo e in largo ha solo il problema per lui molto complicato di costruire la giunta regionale, mediando tra le sue spinte e i partite e le liste del centro destra nella scelta di sette assessori, numero obbligato che deve anche essere modulato rispettando la rappresentanza di ogni area geografica.
I partiti e i movimenti della galassia vincente hanno i loro appetiti e spingono per avere le poltrone. Bucci spinge per fare scelte che abbiano anche un po’ di qualità. Per esempio la scelta chiave dell’assessore alla Sanità è essenziale di fronte al disastro che la nuova amministrazione fronteggia e che si aggrava con i tagli che la manovra del Governo applica a questo settore.
Poi ci sono i totiani, o meglio i post totiani, gli uomini e le donne dell’ex presidente scalzato dalla scandalo, che chiedono spazio, anche se non sono stati eletti in Consiglio regionale.
Per esempio la porta voce di Toti, Jessica Nicolini, giornalista diventata l’”ape regina” del regno di Toti e della sua magniloquente comunicazione, promossa coordinatrice delle politiche culturali, forse sarà piazzata a fare l’assessore alla Cultura in Comune. Scelta abbastanza imbarazzante sia nella forma che nella sostanza.
L’ambito delle decisioni, stretto tra “preferenze” professionali e equilibri politici, ha talmente messo in difficoltà il cavalcante Bucci da fargli proporre il varo dei sottosegretari, figure intermedie tra i consiglieri di maggioranza e gli assessori. Una scelta che alcune regioni hanno già adottato, ma per le quali ci vuole una legge regionale, quindi tempi lunghi.
“Ma le deleghe sono troppe e il numero degli assessori troppo ridotto!”, tempesta il presidente-doge che urla di dover mettere al lavoro subito su tanti fronti.
E Andrea Orlando il suo rivale sconfitto gli ribatte: “Altro che sottosegretari, qui ci vogliono medici e infermieri….”
Il piglio di Bucci mette indirettamente in discussione i nove anni precedenti, nei quali aveva governato Giovanni Toti, oggi appiedato politicamente e ancora in attesa della conferma al suo patteggiamento, che il Tribunale deve approvare nella misura di 1500 ore di servizi sociali.
Questa cifra è destinata ad aumentare per una nuova accusa che l’imputato patteggiante ha dovuto fronteggiare. E’ cambiato anche il servizio che Toti dovrà svolgere, non più nel parco delle Cinque Terre, soluzione vicina a casa, ma nel reparto oncologico dell’Ospedale di San Martino. La prima soluzione non era stata ritenuta valida per ragioni tecniche.
Con il porto semiparalizzato dalla mancanza di un presidente “pieno” oramai da troppo tempo e la battaglia per le concessioni incominciata sulla scia dello scandalo giudiziario e non solo, tutti gli asset genovesi sono come in bilico, in un clima da campagna elettorale permanente.
Quella per il nuovo sindaco è, appunto, cominciata già, in modo quasi esplosivo con le mosse di Bucci e gli appoggi a Picciocchi, ma anche con le contese che il Pd sta già affrontando per scegliere il candidato.
Mentre Andrea Orlando, sconfitto alle Regionali, ma portatore indiretto di un successo nel voto genovese, tentenna ancora sulla sua decisione, incerta se restare in Liguria e fare il capo dell’opposizione in Regione contro Bucci o tornare a Roma al suo seggio parlamentare e al suo ruolo, non secondario, nel partito, si sfoglia già la margherita per la scelta, che da decenni oramai i dem e la sinistra larga o stretta non azzeccano più.
Ci sono alcuni giovani rampanti e anche vincenti nelle elezioni regionali che possono aspirare, come Sanna e Romeo, a correre per conquistare finalmente Genova.
Ma non hanno il pieno appoggio del partito e della sinistra più in generale che vorrebbe passare attraverso le Primarie.
Così è aperta la caccia al candidato civico- esterno, per altro introvabile, o come è avvenuto in Regione al leader storico.
Si fa il nome di Roberta Pinotti, ex parlamentare di lungo corso e ex ministra della Difesa, ritiratasi da due anni, ma sempre attiva soprattutto in campo internazionale.
E’ una genovese doc, di Sampierdarena, con molte relazioni, ma non sembra convinta di scendere in campo.
Intanto su tutto regna il doge-presidente- sindaco -commissario Marco Bucci, che fa di tutto per non far perdere alla sua parte il Comune, che continua considerare il suo territorio, zeppo di opere da lui fatte decollare, alcune in itinere, altre un po’ insabbiate.
Almeno per qualche settimana nessuno nella storia ha avuto il suo potere. Forse solo quando sulla Liguria e non solo regnavano i Savoia, che i genovesi non hanno mai digerito.
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