Genova, il doge Marco Bucci e l’emozione finale del sindaco che ha cambiato la politica.
Il discorso finale di addio al consiglio comunale, dove era appena stato dichiarato decaduto, non lo ha voluto leggere. Temeva di emozionarsi. Così lo ha semplicemente consegnato, perché fosse diffuso. E dal suo seggio di sindaco di Genova si è alzato, dopo quasi otto anni di regno, ed è andato a seguire i lavori del consiglio dai palchi del pubblico.
Marco Bucci è uscito di scena così, per restarci dentro fino al collo, tra il suo Comune che ha scosso fino dalle fondamenta con il suo “crio”, grido quotidiano e martellante e la Regione Liguria, che ha incominciato a governare con lo stesso identico piglio.
Certo con qualche ferita in più, anche fisica per quel taglio lungo più di venti centimetri, che dal volto scende in giù e che i chirurgi gli hanno fatto per asportare un tumore, da lui dichiarato senza tentennamenti, proprio nel momento in cui Giorgia Meloni gli chiedeva di sacrificarsi e di partecipare alle elezioni regionali. Che ha vinto per ottomila voti, contro la sinistra sicura di sconfiggerlo, dopo lo scandalo che aveva travolto Giovanni Toti e la sua giunta.
Un eroe? Un superuomo? Non certo. Questo sessantenne è nato a Nervi, la delegazione (a Genova si chiamano così gli ex comuni incorporati da Mussolini nella città metropolitana) più bella di Genova. Laureato in chimica, manager per 22 anni negli Usa, marchiato dalla cultura imprenditoriale yankee, e tornato a Genova da pochi anni per dirigere Liguria Digitale, impresa del futuro informatico. Lo ha estratto dal cilindro come candidato sindaco nel 2017 Edoardo Rixi, leader leghista genovese. Bucci è “solo” un nuovo modello di pubblico amministratore, che ha sconvolto le regole e ancora lo farà.
Hanno battezzato il suo modo di lavorare “modello Genova”, perché con quel sistema è riuscito a ricostruire il ponte sul Polcevera in 18 mesi, stupendo non solo l’Italia.
Sarebbe meglio battezzarlo “modello Bucci”, con i suoi pregi e anche i suoi difetti.
Questo genovese, un po’ burbero, un po’dialettico a modo suo, usa nell’esercitare le sue funzioni istituzionali lo stile di un manager, scavalcando la politica come se non esistesse, sia quella delle opposizioni che gli sparano addosso, sia anche quella dei suoi alleati, che passano sopra alla sua deregulation totale, perché lui vince.
La politica, necessaria comunque, per lui la fanno gli altri, fino a ieri Giovanni Toti, defalcato bruscamente e oggi Edoardo Rixi, il saggio.
Lui, il Bucci, come lo chiama la moglie Emma, una rinomata pasticcera con una delle botteghe più conosciute della città, che sicuramente lo addolcisce per quel che può, cavalca la amministrazione con tempi di lavoro inconsueti e scelte secche di uomini e soluzioni.
“Cria”, urla, arrivando in ufficio alle 7,30 di mattina se non trova gli impiegati al loro posto. In Regione ha nominato capo di Gabinetto un contrammiraglio, Massimiliano Nannini, che i primi giorni arrivava in ufficio in alta uniforme. La sua parola d’ordine è “rimboccarsi le maniche”, trovare la “best option” e avere sempre e comunque una “vision” da realizzare.
Genova, dopo otto anni del suo ritmo, oggi è scoperchiata, nel bene anche un po’ nel male. Ha privilegiato le grandi opere, così se la percorri, magari dall’alto, vedi un cantiere dopo l’altro.
Quello gigantesco della ex Fiera del Mare, dove con il disegno immancabile di Renzo Piano, ha rifatto il Palasport ( quello dove nel 1965 erano venuti a suonare i Batles) , costruito un quartiere residenziale, affacciato su una gigantesca darsena e contornato di canali d’acqua, con insediamenti commerciali (molto discussi), un maxi posteggio sotterraneo, coperto da mille alberi.
Ma soprattutto quello in mare, davanti alla diga foranea, dove stanno calando i cassoni della nuova frangiflutti, al largo di 450 metri, che allargherà il porto e Genova stessa, per far arrivare le maxinavi del futuro.
Ma se voli più radente trovi cantieri un po’ ovunque, che stanno un po’ dissestando i ritmi della città, dal suo epicentro storico della Piazza Corvetto, dove sbucano le gallerie dei nuovi nodi ferroviari e della metropolitana più lenta del mondo nei suoi lavori. O nel cuore dei “caruggi”, dove la mitica Loggia dei mercanti, famosa per il comico-genio Gilberto Govi, che la usava come set delle sue perfomance, tramutandosi in un mendicante mentre prendeva i raggi del sole, sta trasformandosi nel “Museo della Repubblica”, il luogo dove Genova dovrebbe ricostruire la sua storia secolare.
E in Valpolcevera la disconnessione incomincia sotto il nuovo ponte, con il Parco della Memoria che sta per essere inaugurato e nella riconversione di stabilimenti storici della epoca fordista come la Miralanza. E che dire dei supermercati Esselunga, proibiti dalle giunte di sinistra e sorti come funghi a Albaro, sotto la Lanterna e domani a Sestri Ponente, la ex Stalingrado di Genova?
Insomma il Bucci ha rivoltato la città, facendo la scelta secca delle grandi opere, con l’effetto contrario che è andata un po’ a farsi benedire la gestione più quotidiana di Genova, la manutenzione soprattutto delle periferie, nelle quali fermenta la rivolta, che si è espressa in un voto contrario per Bucci nelle elezioni regionali, e nei caruggi stessi, un po’ abbandonati a un’immigrazione disordinata e pericolosa. Cinesi a Principe, nordafricani in via Prè e dintorni, sudamericani ovunque….
Ma il metodo Bucci ha inciso come con un bisturi, lanciando anche un segnale contraddittorio da questa città sempre così difficile da interpretare, almeno dagli anni Settanta della sua de industrializzazione e della sua vertiginosa discesa demografica, da 850 mila abitanti ai 550 mila di oggi, dal vertice del triangolo industriale, alla periferia disconnessa, isolata nelle strade, nelle ferrovie, financo nel trasporto aereo.
Tutto capovolto dal Bucci: lo spirito ora non è di discesa, ma di salita, il turismo risale, la demografia offre segnali opposti, perché deve essere calcolata diversamente e non con i vecchi criteri della residenza formale e statica, gli imprenditori accorrono a investire. La città si allarga non si restringe. Anzi si avvia a diventare una capitale mediterranea.
Guai a discutere con l’ex sindaco, che ora si autoproclama “sindaco della Regione “, per mantenere il suo amato titolo. C’è sempre la sua “best option” contro le obiezioni e i numeri in discesa dello sviluppo.
Chissà come questo spirito, o meglio, questo modello Bucci, si trasferirà in Regione, al di là dello sbattere dei tacchi del Contrammiraglio, capo di gabinetto?
L’ente è molto diverso, ha ruolo mediatorio sul territorio, capacità legislative, enormi responsabilità nella gestione della Sanità, con un bilancio in forte deficit (già contestato dal nuovo presidente), una popolazione stravecchia, liste di attesa da far paura, ospedali fatiscenti e pericolosi, nessuna nuova struttura in cantiere, se non il vecchio Galliera di Genova, costruito nell’Ottocento dalla Duchessa di Galliera, segno di una munificenza che non si era fermata a quello.
Intanto il nuovo corso è già cominciato, con il piglio del “scindeco ch’o cria”. Subito convocati tutti i responsabili delle Asl e creato un Consiglio Superiore della Sanità ligure con esperti e professori collegati al nuovo assessore, figura centrale per Bucci, un oculista Massimo Nicolò, medico personale del neo presidente, già vicesindaco e scelti cinque commissari per la ricostruzione dei cinque ospedali che la Liguria spetta da decenni.
La verità è che se si potesse Bucci sarebbe anche rimasto a fare il sindaco, insieme a presidente della regione, magari rispolverando il titolo di Doge, antica carica dei “re” di Genova, che lui estenderebbe da Ventimiglia a Sarzana. E se non che vision è?