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Genova perde i pezzi, la lotta fra i candidati sindaco si fa più dura - Blitzquotidiano.it 8foto dell'autore)
Cadono una ad una a Genova le cattedrali della Superba o della ex Superba. Che Genova oramai è molto ex, in questa primavera incombente 2025 verso elezioni comunali che forse nessuno voleva e che arrivano troppo presto.
Declassano l’aeroporto Cristoforo Colombo, che in una visione miope l’estate scorsa ha escluso dai suoi soci il vero “padrone” di oggi, l’armatore miliardario, il comandante Gigi Aponte, che se lo sarebbe piano piano comprato, partendo da una quota acquistata dagli Aeroporti romani e che lo avrebbe salvato, facendo volare i suoi milioni di passeggeri delle crociere.
Non è più aeroporto internazionale, perché si riducono le misure di sicurezza, “tarate “sul numero dei voli che calano inesorabilmente da anni, senza remissione.
E non sarebbe dovuta questa essere una città internazionale, capitale del Mediterraneo, come ha tuonato per anni l’ex sindaco Marco Bucci che ora governa la Regione, pronta a entrare ora tra i soci dell’aeroporto come ciambella di salvataggio?
Ci vuole altro per far decollare il “Colombo”, pista di atterraggio super, a due passi dal centro cittadino, ma inesorabilmente deserta. Ci arrivi e se trovi un aereo sulla pista, oltre al tuo appena atterrato puoi parlare di sovraffollamento.
Declassano l’Archivio di Stato, che è una delle miniere più preziose della memoria non certo solo genovese o italiana, ma probabilmente mondiale, perché contiene atti antichissimi di eventi storici e ricostruibili scientificamente solo con quelle carte tenute in teche riservatissime.
E dove si provano i prestiti della Repubblica a Carlo V, la nascita di operazioni bancarie create qua e i passaggi storici sprofondati nei secoli.
Vi si contengono gli atti notarili dal 1100, una base eccezionale di documenti attraverso i quali si ricostruisce ogni operazione finanziaria. E ci sono i testamenti dove è scritta molta storia della Repubblica e molto oltre per estensione: per esempio i rapporti con gli altri Stati con i quali i genovesi dialogavano soprattutto nell’epoca del loro grande splendore, ne “ lo siglos de oro”, tra il Cinquecento e il Seicento.
Genova terra in declino
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Ci sono documenti originali di momenti storici e carte sul Risorgimento, l’epoca napoleonica e su Cristoforo Colombo, sul Banco di San Giorgio, una specie di monumento finanziario. Insomma una miniera di storia che esiste solo in quelle stanze sulla collina di Carignano vicino al museo di Sant’Agostino, meta di un vero pellegrinaggio in stanze dove arrivano esperti da tutto il mondo.
Il Ministero della Cultura nel passaggio tra Sangiuliano e Giuly ha deciso di declassarlo, di limitarne l’autonomia, subordinandolo alla Soprintendenza e declassandone la dirigenza.
C’è stata una ribellione, ma in una città che trascura da tempo gli aspetti culturali o li declassa a spettacoli e educazione civica, la scelta appare oramai irreversibile.
Stanno decapitando un po’ tutte le grandi “firme” del commercio genovese, che chiudono i battenti, desertificando soprattutto le periferie e il centro storico, eterna questione di Genova, davanti all’avanzata dell’ e-commerce, ma anche della grande distribuzione.
Così chiude Giglio Bagnara, appunto una specie di cattedrale del commercio nei quartieri di Ponente della città a Sestri Ponente dove era una specie mini Harrods inglese, di proprietà di storiche e influenti famiglie, una vera identità della delegazione spesso definita la Stalingrado di Genova, tra i grandi cantieri navali, le grandi fabbriche, ma con un tessuto borghese costruito nel tempo, come appunto la famiglia Bagnara.
Ha chiuso nel centro di Genova, di fronte alla Rinascente che già da cinque anni ha alzato bandiera bianca mentre nelle altre città italiane prospera e dove ora c’è un palazzo vuoto di tre piani, l’ex bar Motta oggi chiamato Moodys, lasciando a casa decine di dipendenti.
E in una specie di spoon river commerciale chiudono uno dopo l’altro decine di negozi che avevano segnato la storia di una città un po’ segreta, ma dove il commercio con quel porto e quei traffici ha sempre prosperato.
Dalle cupole autorevoli della piazza centrale De Ferrari hanno smontato la monumentale scritta della Banca madre di Genova che era la Carige, defunta e confluita nella Bper, dopo un travaglio snaguinoso, che sarebbe come dire che Genova, capitale delle banche, non ne ha più una, se non fosse per la Banca Passadore, una nicchia dorata, che migliora sempre i suoi affari e, anzi, come a replicare a tutte queste decadenze migliora i suoi bilanci, incrementa i depositi, apre nuove succursali e perfino i piani della sua sede, che spicca proprio nella area di Piccapietra, dove appunto hanno chiuso la Rinascente e l’ex Motta e dove le gallerie dello shopping un tempo con grandi “firme”, da Valentino a Soldano, a Saint Laurent, a Tino’s e a Berti, ora sono chiuse da cancellate per impedire che diventino i ricoveri dei senza tetto.
La campagna elettorale
Su questo panorama non esaltante è incominciata la cavalcata della campagna elettorale, che oramai vede in corsa i candidati principali con la sorpresa , piovuta dal cielo o da chissà dove, di Silvia Salis, 39 anni, vicepresidente del Coni, genovese di origini popolari, candidata da un centro sinistra unanime e allargato a Calenda e Renzi, che non sapeva più che pesci pigliare.
La sfida della ex atleta olimpica per ora è cominciata con un ingresso a tutto campo e con una spinta decisa ad apparire come la vera candidata della sinistra attraverso la rivendicazione ripetuta delle proprie origini “popolari”, compresa la richiesta di precisazione a Blitzquotidiano, che le aveva attribuito una residenza romana nel quartiere borghese dei Parioli.
Invece Salis a Roma abita nel quartiere di San Lorenzo, ritenuto popolare. Dettagli, ma segnali che hanno anticipato le mosse della discesa sul campo genovese. Subito nei luoghi dove ci sono forti tensioni sociali per le chiusure di piccoli e grandi esercizi commerciali, che potrebbero indicare una politica sbagliata del Comune, secondo la gestione Bucci-Piciocchi, quindi proprio a Sestri, dove Bagnara sta, appunto, chiudendo il mega store storico a tre passi da dove la giunta Bucci vorrebbe insediare il terzo Esselunga di Genova, in Piccapietra dove Moody è chiuso da mesi e i dipendenti disperati attendono risposte, come i cinquanta che da anni oramai sono a spasso per la chiusura della Rinascente che è proprio di fronte a questo locale.
Silvia Salis è comparsa anche insieme a tutte le donne dei partiti e movimenti, che affiancano la sua candidatura, sottolineando la svolta di genere che la sua candidatura marca undici anni dopo la sindaca Marta Vincenzi.
Tutte queste mosse quasi metodiche si sono sviluppate insieme agli incontri serrati con vertici della Santa Alleanza che la supporterà, mentre l’apparato organizzativo che sosterrà la campagna di Salis si è schierata a Genova e dove ci sono i comunicatori che hanno preparato già le campagne di Giorgio Gori, ex sindaco di Bergamo e oggi Eurodeputato, di Elly Schlein, almeno in parte, e di Brando Benifei, eurodeputato di origini liguri.
I toni di questo ingresso sono stati alti, vere sfide quotidiane sui temi chiave della città, non solo quello del disastro commerciale . Attacco frontale sul Water front, il nuovo quartiere che sta sorgendo al posto dell’ex Fiera di Genova, dove ci sono residenze di lusso, il Palasport rinnovato, non senza polemiche e probabili nuovi insediamenti della grande distribuzione.
L’accusa della neo candidata è quella di avere “svenduto” ai privati questo pezzo pregiato di città, sotto la benedizione di Renzo Piano che l’ha disegnata.
Un’accusa pesante che viene da Salis, fino a ieri grande esperta di organizzazione sportiva, è quella al Comune di avere svenduto il vecchio Palasport a 14 milioni a una CTS Holding, ricomprandolo dopo pochissimo tempo e pagando solo la parte interna di questa cattedrale dello Sport e dello Spettacolo, dove cantarono anche i Beatles, ben 24 milioni.
Le repliche del candidato Piciocchi a questa raffica di primi attacchi sono state durissime e lasciano intravvedere una campagna che sarà di fuoco, contrapponendo immagini molto diverse della città e la visione dei cantieri del regno Bucci-Piciocchi contrapposta a tutt’altro, che deve prendere forma, ma che sembra il rifiuto di alcune grandi opere già in itinere e progetti ben diversi come quelli di “infrastrutture sociali” da costruire in una città dove il tasso di anzianità è il più alto d’Europa e dove i problemi di assistenza esplodono ogni giorno.
Sull’altra barricata Picciocchi ha estratto un asso dalla manica, già incaricando in fase di reggenza della città come assessore ai servizi sociali Enrico Costa, figura storica anche per discendenza famigliare, presidente del Ceis, uno dei manager della solidarietà più abili e insediati di Genova e fino a ieri apparentemente più vicino alla sinistra.
Costa ha già annunciato che si candiderà con Piciocchi, con l’obiettivo evidente di coprire il suo settore di competenza.
Intanto spuntano altri candidati non secondari alla carica di sindaco, come Filippo Biolè avvocato, presidente dell’Accademia Ligustica di Belle Arti e dell’Orchestra Sinfonica di Sanremo, uno dei leader della influente comunità ebraica (quella nella quale era stato scelto l’ultimo candidato anti Bucci, nelle elezioni del 2022, Ariel Dello Strologo, anche lui avvocato del prestigioso studio De Andrè, sconfitto al primo turno).
Biolè, chiaramente orientato a sinistra, ha rifiutato di unirsi all’alleanza pro Salis, rivendicando una autonomia rispetto al sistema con il quale il Pd, soprattutto, ha gestito la scelta delle candidature.
Un siluro insomma a Salis, accusata dall’avvocato anche di coprire con la sua presenza il maschilismo imperante tra i dem genovesi. “Non basta una candidatura femminile da sbandierare per nascondere la vera anima maschilista del Pd“, denuncia Biolè.
Mentre le cattedrali cadono, la sfida per sostituire Marco Bucci, “o scindaco c’o cria”, diventa così molto calda. Gli stessi candidati devono prepararsi ancora e assumere probabilmente una identità più autonoma.
Piciocchi probabilmente deve costruirsi una immagine staccata dal suo predecessore, che continua a “criare” dalla Regione e sembra non avere ancora rinunciato a fare un po’ il sindaco della Regione e, quindi, anche di Genova, non mollando il suo ex vice in nessuna polemica e in nessun evento.
Salis, che ha mutato perfino il suo look per apparire più si sinistra, più popolare e staccata da quel mondo un po’ glamour dal quale veniva come alto dirigente Coni, deve fare riconoscere la sua personalità e anche i suoi valori, circondata come è dalla vecchia guardia Pd, da un mondo più moderato e centrale, fatto anche di imprenditori e ceto borghese.
Che indica con la sua mobilitazione come la battaglia si deve combattere certamente sui terreni difficili delle periferie e delle grandi difficoltà economiche, del lavoro povero, ma anche a caccia del “Centro”, una figura oramai mitologica, che tutti cercano nello sconquasso della politica liquida di oggi.