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Giorgia Meloni e l’indipendenza dei giornalisti: quando in Rai splendeva Santoro

Giorgia Meloni e l’indipendenza dei giornalisti. Secondo uno studio cofinanziato dall’Unione Europea, Giorgia Meloni starebbe compromettendo il pluralismo dell’informazione in Italia.

I segnali di questo degrado sono l’aumento delle querele da parte dei politici contro i giornalisti e l’occupazione dei ruoli più importanti in Rai.

Quando la Meloni era all’opposizione nessun Istituto di ricerca europeo aveva sanzionato il monopolio Rai da parte della sinistra.

Giorgia Meloni contro la Rai di sinistra

Berlusconi lanciò l'editto bulgaro contro la rai di sinistra
Giorgia Meloni e l’indipendenza dei giornalisti: quando in Rai splendeva Santoro – Blitzquotidiano.it (foto Ansa)

Era l’epoca in cui Santoro conduceva Anno Zero al solo scopo di attaccare Berlusconi. Ospiti fissi della trasmissione erano Travaglio, il vignettista Vauro e Sandro Ruotolo.

Il giornalista Filippo Ceccarelli aveva illustrato “i trucchi, le falsificazioni, i maliziosi accostamenti, attraverso i quali tecnici e giornalisti erano soliti favorire o danneggiare i singoli personaggi politici.

Qualunque sia stato il giudizio degli spettatori di quel periodo, era evidente che Santoro non era “indipendente”. Egli si serviva del canale Rai a vantaggio di un gruppo politico e a danno di altri.

Avevano abbandonato la trasmissione di Santoro: Clemente Mastella, Lucia Annunziata, Emilio Fede, mentre la senatrice PD Anna Finocchiaro aveva denunciato l’uso distorto del servizio pubblico e la mancanza di contradditorio.

Durante la trasmissione guidata da Fabio Fazio, Travaglio aveva dato del “lombrico” a Renato Schifani, il qualeaveva sporto querela.

Nel 2010, il Tribunale di Torino aveva condannato Travaglio al pagamento di 16 mila euro, tanto valeva l’onore di un senatore. L’idea che la denuncia contro un diffamatore-giornalista, leda l’indipendenza dell’intera categoria, appare peregrina.

Guornalista cane da guardia

Alla base delle ricorrenti deviazioni dei media, sta un’idea di fondo: il giornalista è il cane da guardia che vigila sul buon governo e informa l’opinione pubblica. Con questa premessa, anche il più modesto tecnico dell’informazione sente di dover mettere del suo nel segnalare l’evento e la stessa notizia passa in seconda linea rispetto a quel fine istituzionale.

Il professionista acquista così un enorme potere contrattuale e si pone sullo stesso piano dei giudici che non perseguono il singolo reato ma si caricano di fini superiori e comminano la pena in funzione della sua esemplarità.

L’indipendenza dei mass-media rappresenta la premessa per un corretto funzionamento del sistema politico; tuttavia, se il mercato (la platea dei lettori) è inadeguato, il mezzo di comunicazione si mantiene attraverso il mecenate (che mira al dominio) oppure ponendo a carico di azionisti inconsapevoli il buco di bilancio delle case editrici.

In Italia è sempre esistita la libertà di informazione, garantita da una pluralità di giornali, di radio e televisioni, di natura pubblica e privata.

Meloni impari da Murdoch

Nel mondo anglosassone sono i magnati ad investire nella comunicazione. Su tutti ricorderò Rupert Murdoch impegnato nella carta stampata, nel satellitare e nel campo cinematografico, il quale non è stato un esempio in fatto di etica come dimostrano gli episodi dei falsi diari di Hitler e lo scandalo delle intercettazioni. Con Murdoch si è realizzata la completa mutazione del cittadinoin “spettatore” plasmato dai media.

I giornalisti alle dipendenze dei gruppi privati possono essere considerati autenticamente indipendenti, in grado di far prevalere le proprie idee rispetto alla linea del giornale?

Vorrei stringere la mano al direttore dell’Unità Piero Sansonetti, un ex comunista con idee chiare sulla libertà dell’uomo, secondo il quale il presidente della Regione Liguria Toti avrebbe subito un “sequestro di persona”. Tutti i giornalisti  “indipendenti” hanno preso posizioni di parte e si dividono tra chi sta dalla parte della Magistratura e chi contro.

Il rapporto fra giornalisti e politici

Un tempo erano i giornali a commentare gli interventi dei leader politici, oggi sono i politici a riprendere gli articoli di fondo dei giornalisti.

Ne costituisce un esempio la “grillina” che sostiene in tv l’obbligo del politico indagato di farsi da parte per consentire alla legge di fare il proprio corso.

Si tratta della solita tesi del Fatto Quotidiano che interpreta il sogno segreto di ogni grillino di andare al potere per via giudiziaria.

Ma usciamo dalla bassa provincia e diamo uno sguardo ai principali giornali del mondo.

Oggi la gente legge meno e scrive sui social; non sono più i giornali a formare movimenti di opinione determinanti per far cadere i governi.

Negli Usa, molti interventi di membri del Congresso riprendono gli articoli di fondo dei giornalisti democratici o repubblicani.

Avviene così che su ogni questione di politica internazionale i concetti ritenuti “aggreganti” sono diventati standard e quelli autenticamente indipendenti sono pochi e bisogna saperli leggere.

Nessun giornale europeo ha mai ripreso gli interventi di alcuni opinionisti americani che hanno plasmato la politica mondiale.

Fra questi ricorderò gli interventi sulle “culture religiose del male”relative agli israeliani e al mondo mussulmano.

Un esempio di cultura ritenuta “vigliacca” è quello dei religiosi ebrei che predicano la lotta armata all’ultimo sangue e fanno scartare i propri figli dal servizio militare in ragione del loro credo.

Sul fronte arabo è predicata la morte fisica e totale di tutti gli israeliani, ai quali è negato il diritto di asilo in un modesto lembo di terra arida.

Gli stessi musulmani inondano di emigranti l’Europa e pretendono il diritto d’asilo come atto dovuto in quanto rientrante nelle costituzioni delle democrazie considerate il “male “assoluto”.

Se dovesse scoppiare una guerra regionale o di più ampie dimensioni, gli americani pensano a Stati europei “Ponzio Pilato”.

Giornali europei e Medio Oriente

Nessuna catena editoriale europea ha mai ripreso l’articolo sulla “cultura della vita”: quella degli israeliani che scendono in piazza ogni giorno per chiedere la liberazione dei pochi ostaggi sopravvissuti e quella dei palestinesi che hanno dato il potere ad Hamas, si immolano come kamikaze nelle piazze di Tel Aviv e sono considerati martiri destinati al paradiso.

Diverso è il valore della vita per i soldati russi o ucraini che cercano di imboscarsi e che non credono di dover ammazzare i propri fratelli, resi nemici dalle scelte di un dittatore.

In un periodo di spiccato edonismo è difficile trovare intellettuali che non siano al servizio di qualche interesse. Cosa minaccia la democrazia, il linguaggio dichiaratamente di parte o quello che si ammanta di indipendenza?

Non sarebbe forse preferibile che il giornalista d’area si proclami tale a viso aperto?

La nostra epoca segna un’eclissi, profonda e scoraggiante, delle libertà e gli addetti ai lavori nei media sono in prevalenza al servizio di qualche interesse.

In questo sistema, il pluralismo dell’informazione non si realizza ricorrendo a veri professionisti, ma lasciando libero sfogo alle idee dei singoli gruppi organizzati.

Il presentatore televisivo (che utilizza le armi più efficaci e dirette puntate sul cittadino qualunque) è sempre stato l’interprete di istanze particolari e, per questo, non sempre è stato obbiettivo nei suoi giudizi. Prendiamone atto con pragmatismo e false ipocrisie.

 

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