Le parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella sono state chiare. Le istituzioni debbono collaborare, non dividersi. E magari guerreggiare come sta accadendo oggi. La magistratura respinge gli attacchi: una fake news quella di considerare le toghe una cellula di partito.
Al contrario, la maggioranza continua a puntare il dito contro i giudici considerandoli di parte. Di più: ritenendo che loro vogliono entrare nelle competenze della politica ribaltando i diritti e i doveri dettati dalla Costituzione. È chiaro che così stando le cose, il Paese balbetta, non riesce ad andare avanti come vorrebbe perché ogni iniziativa viene bloccata e fatta morire ancor prima di nascere. Ora litigano sui migranti
La lotta oggigiorno è sui migranti, ma questo è solo uno dei tanti temi per cui i protagonisti si scontrano. Si vuol far cadere il governo? Forse. Si vuole evitare che nuove iniziative possano togliere il potere a chi lo ha già conquistato? Probabilmente. Insomma, come rammenta un commentatore di prestigio, “l’avversario da sconfiggere nelle urne si è trasformato nel nemico da espellere e al quale togliere la parola”.
Il dibattito non ha più le caratteristiche di quello che la politica dovrebbe insegnare. Un diverso modo di vedere i problemi e magari risolverli dopo una discussione accesa, ma sempre civile. Le accuse hanno un sapore che non hanno niente a che fare con il “politically correct”.
Da una parte ci si domanda: “Chi deve gestire l’immigrazione?” Il Palazzo o chi altro? Interviene l’opposizione che spera in un ribaltone, ma gli alleati nella sinistra non la pensano tutti nella stessa maniera. Quindi, è la magistratura ad entrare in campo per venire incontro ai desiderata della minoranza?
Eccolo, dunque, dove si nasconde il nocciolo del pericoloso divario di opinioni. È una lotta continua che dura da diversi anni, ma che oggi ha raggiunto punti oltre i quali non si può andare se si vuole difendere il proprio Paese. Il governo viene messo sotto accusa perché in due anni (quanti ne sono passati da quando si è insediato) non ha combinato un bel nulla. Anzi, dicono gli oppositori, ha fatto compiere passi indietro all’Italia isolandola o quasi dal resto dell’Europa.
La maggioranza non ci sta e offre a chi legge i numeri che non sono discutibili: l’inflazione è diminuita così come è aumentata l’occupazione. Si è venuti incontro alle fasce deboli, così come sono aumentati gli aiuti alla sanità. Inoltre, lo spread è ai minimi termini da tre anni.
Un oceano divide le forze politiche che si confrontano in Parlamento. Il quale (Parlamento) conta sempre meno da quando a Palazzo Chigi si è seduta Giorgia Meloni. Può progredire il nostro Paese se le istituzioni invece di collaborare e di trovare un denominatore comune per chiarire le controversie se le danno di santa ragione lasciando al palo molte delle questioni che angosciano l’Italia? La risposta è fin troppo chiara, non ha bisogno di ulteriori spiegazioni.
Ora, è arrivato il tempo della riconciliazione. Se gli elettori hanno espresso il loro voto in modo evidente dando alla destra il compito di governare, la sinistra deve accettare il responso e intervenire semmai quando ce ne fosse bisogno con consigli e atteggiamenti forti. Se il vento è cambiato a favore dei conservatori, questo non significa che il potere è tutto da una parte e che gli altri debbano solo abbozzare e attendere che il clima cambi. In questo modo, il gap che ci divide dai paesi più progrediti che vivono in Europa non sarà mai colmato. E’ un concetto evidente che non può essere smentito.
Ecco la ragione per la quale le parole del presidente della Repubblica debbono essere considerate e prese ad esempio. In un momento in cui, il mondo intero guarda con apprensione alle due guerre che travolgono il progresso, non è il tempo di andare alla ricerca di cavilli che possano stendere al tappeto chi la pensa in modo diverso. Uguaglianza: questo è il sostantivo che i politici debbono imparare a memoria e non dimenticare mai. Ne va del progresso dell’Italia. Le scaramucce e i bracci di ferro lasciamoli da parte. Mattarella docet.
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