Il caso Musk spiegato ai giovani: vi mostro dove ha fallito l’Europa. Contrariamente a quanto si insegna ai giovani nelle nostre università, il “libero mercato” non si deve alle intuizioni di grandi economisti, bensì a due sentenze delle Corti inglesi di cui non v’è traccia nella nostra letteratura economica.
La prima sentenza (del 1614), riguarda l’illegittimità dei monopoli. Leggiamo le motivazioni della Corte ai tempi di Elisabetta I, che sono di una sconcertante attualità: “Il monopolio danneggia i concorrenti effettivi e potenziali, penalizza il pubblico in relazione ai prezzi più alti e alla più bassa qualità dei prodotti”.
La seconda sentenza riguarda la tecnologia civile e militare. Di fronte agli assalti alle fabbriche degli operai “luddisti” che volevano distruggere le macchine in quanto “toglievano lavoro agli uomini”, nel 1769 la Corte londinese stabilì il seguente principio: “Se le macchine non le costruiscono gli inglesi, le costruiranno gli altri paesi e ciò è contrario agli interessi della Corona”.
Da allora, la supremazia economica di una Nazione deriva dal possesso della tecnologia più avanzata. Da allora, i patti di distruzione bilaterale delle armi di sterminio (come le bombe atomiche) sono stati disattesi.
Il principio della “concorrenza”, che equivale ad un “comandamento” della Bibbia, è applicabile qualora esista un mercato contendibile. Se un prodotto è nelle mani di un unico venditore, i compratori potranno rivolgersi solo a lui. Era stato questo il caso della tecnologia informatica delle banche italiane, il settore più sensibile e vulnerabile del sistema finanziario.
Le multinazionali informatiche americane erano riuscite a impedire la crescita della tecnologia italiana attraverso una efficacissima “lobby professionale” che si riconosceva nella “cultura IBM”.
Sapete chi decideva gli acquisti di quel periodo? I dirigenti di banca e i partiti che li nominavano. Quando alcuni personaggi “post comunisti” erano ricevuti alla Casa Bianca, non si discuteva soltanto di politica estera, ma di commesse militari e civili.
Non esisteva tecnologia che non fosse fornita dagli americani e i relativi brevetti avevano una durata di alcuni decenni. Personaggi come D’Alema non avevano del resto alternative, a meno di impedire lo sviluppo del paese.
A proposito di “appiattimento”, lo stesso D’Alema si era messo a disposizione di Clinton nella guerra del Kosovo fornendo le nostre basi militari e inviando soldati, molti dei quali sarebbero morti per le bombe al fosforo bianco.
Ben diverse sono state la determinazione e l’autonomia del governo italiano che hanno portato alla liberazione di Cecilia Sala.
Per queste ragioni, considero una discussione da “cortile” quella che riguarda la possibile “fornitura” dei satelliti di Musk.
Poiché l’Europa potrà disporre di satelliti analoghi fra dieci anni, Il dibattito politico è limitato al seguente quesito: è vero o no che esiste il problema “attuale” di difendere i nostri servizi di “intelligence” rispetto ad attacchi destabilizzanti da parte della Cina o della Russia? Ogni altra considerazione è fuffa.
Certo, un imprenditore che fa politica è poco affidabile, ma le forniture bancarie, civili e militari di qualche anno fa, altrettanto “sensibili”, lasciavano comunque ai governi americani illimitati spazi di controllo e di sottomissione tecnologica del nostro paese.
Il problema è molto più vasto, dal momento che i servizi di “intelligence” possono distruggere l’intera economia di una nazione. Numerosi governi utilizzano i servizi segreti a vantaggio delle industrie nazionali.
In USA, lo “strategic business group”della Cia, che ha a disposizione budget illimitati, ha sempre affiancato l’FBI nell’opera di controspionaggio economico-finanziario, molto prima dell’avvento di Musk.
In Giappone, l’80% dei fondi riservati dei servizi segreti finanziano lo spionaggio industriale.
I conti esteri degli italiani erano a disposizione dei Pm di Mani pulite, grazie ad una piattaforma informatica Usa che aveva “bucato” la rete protettiva delle banche svizzere.
Mentre ci preoccupiamo di Musk, ci dimentichiamo che la tecnologia non basta acquistarla, bisogna saperla far funzionare. Il tilt dell’informatica presso i nostri principali Tribunali e il ripristino del “cartaceo” ci deve far riflettere.
Eppure, l’affidamento di questi servizi è avvenuto con procedure trasparenti e i fornitori selezionati dovevano essere i “migliori” sul mercato.
Sarebbe stato preferibile affidarci ad un Musk del settore, senza la finzione giuridica e i possibili “maneggi” di una “gara”.
Consideriamo ora gli effetti del libero mercato europeo sul fattore lavoro. Esistono migliaia di enti pubblici e privati che pubblicizzano le Nazioni più “meritevoli” dove si possono trasferire le imprese. Irlanda, Bulgaria, Romania, Paesi Bassi, Svezia e società offshore si propongono come “paradisi imprenditoriali” europei. Secondo questa “logica”, il fatto che un’impresa italiana si trasferisca in un atro paese dell’Unione, sarebbe cosa “buona e giusta” per l’Europa, un’entità peraltro inesistente.
Il principio fondamentale è che i salari elevati sono il premio dei lavoratori più efficienti. Sarebbero gli incapaci, gli oziosi e i giovani “bamboccioni” a restare disoccupati.
Il fatto è che in Europa siamo guidati da una generazione di “idiot savants”, abili nella tecnica ma del tutto ignari dei problemi dell’economia reale. Questi economisti sono andati fuori strada perché hanno confuso i piani industriali basati sui calcoli matematici con la verità. Per far capire questa circostanza, esporrò il caso di Salvatore.
Salvatore è un tecnico specializzato di Tricase, in provincia di Lecce, che lavorava in una fabbrica di scarpe, rivendute in San Babila con un “ricarico” di quattro volte rispetto ai costi di produzione: segno certo di efficienza dei lavoratori.
Nonostante gli elevati profitti, Il proprietario ha licenziato cinquanta persone ed ha trasferito i macchinari in Albania, dove può guadagnare di più perché la mano d’opera costa poco e i contributi sono figurativi. Quel “padrone” produrrà le scarpe con il medesimo marchio e le rivenderà a Milano, al prezzo di prima.
Salvatore mi ha confidato d’essere felice, perché ha trovato un posto da sguattero in una trattoria: in nero, si capisce, ma almeno riuscirà a sopravvivere e a mandare qualcosa alla famiglia. Per Lui è stato un colpo di fortuna; con i licenziamenti di massa delle industrie, ha evitato la scelta tra la disoccupazione e qualche impiego in aziende malavitose. Certamente, Salvatore era più bravo di qualsiasi operaio albanese: egli non ha perso il lavoro perché inefficiente ma perché esiste in Italia una classe parassitaria che “pesa” sulle spalle delle imprese e impedisce loro di restare sul mercato. Salvatore si è trasformato da tecnico provetto in sguattero nello spazio di un mattino.
L’etica della competizione ha significato quando esistel’eguaglianza delle opportunità. Sul piano dell’energia, che è il settore più importante nelle scelte di impresa, la Francia che ha investito nel nucleare o la Norvegia che ha un enorme stock di petrolio sotto i propri mari, partono favorite rispetto all’Italia che si rifiuta persino di sfruttare i propri giacimenti di gas perché gli ambientalisti condizionano le politiche governative.
Il risultato del “mercato” europeo è stato quello di mettere in concorrenza ogni paese con tutti gi altri, con una distruzione di ricchezza “globale”.
Il fatto che ogni nazione debba difendersi dagli attacchi “economici” di tutte le altre, giustifica le politiche “sovraniste” della Meloni e mina in radice l’idea stessa di Europa.
Che cosa dicono in proposito gli economisti? Niente paura, era previsto che le aziende con scarso valore aggiunto si sarebbero trasferite all’estero; in Italia dovevano rimanere le attività d’eccellenza, quelle che richiedono una tecnologia avanzata e una mano d’opera qualificata.
L’Italia, con l’attuale rapporto tra classe intermediaria (finanza, commercio, burocrazie) e quella produttiva (operai, tecnici, imprenditori), come fa a competere con il resto del mondo? Possiamo continuare all’infinito a inventarci occupazioni nei settori amministrativi (con oneri indotti per le imprese pari alla stessa fiscalità ufficiale) e ad obbligare i consumatori a buttar via auto, mobili, elettrodomestici, per creare una domanda interna fittizia?
L’attuale politica europea ha messo in concorrenza i lavoratori italiani con quelli di tutti gli altri paesi provenienti dall’Unione e con quelli extra comunitari. Sul piano statistico sono pochi gli operai italiani che si trasferiscono in Romania e negli altri paesi ex comunisti, per il fatto che la nostra democrazia garantisce diritti, servizi pubblici come la sanità o le pensioni anticipate. Per una elementare legge economica, alla lunga, gli italiani perderanno le quote di benessere trasmesse dai loro padri. E i segnali in tal senso sono fin d’ora visibili.
Nel frattempo, diteglielo voi a Salvatore, che non deve temere per il proprio futuro, perché la “mano invisibile” del mercato europeo sta pensando a lui.