Sembra tutto eccessivo questo caso Toti, con il suo faccione ridondante ogni giorno a simbolo di una indagine esplosiva incominciata il 7 maggio e ancora innescata come una bomba con esplosioni successive esattamente da due mesi e venti giorni.
Eccessivo il tempo nel quale l’inchiesta, datata 2022, è incominciata a La Spezia, poi ramificata a Genova per deflagrare nel maggio del 2024.
Contro Toti 9 mila pagine
In due anni novemila pagine di atti giudiziari raccolti in un fascicolo monstre, nel quale le ore di intercettazioni telefoniche e ambientali, con quel meccanismo dal nome ambiguo “trojan”, sono un fiume inarrestabile.
Che viene “distillato, giorno dopo giorno, attraverso le carte che la stampa pubblica ininterrottamente. In settimana sono uscite le carte dedicate all’interrogatorio come testimone informato sui fatti di Alfonso Lavarello, presidente dell’aeroporto di Genova, uomo di riferimento dell’armatore GianLuigi Aponte, oggi il “padrone di Genova”.
L’interrogatorio era avvenuto un mese fa, ma “il distillato” arriva oggi e ancora aspettiamo quello di Aponte, avvenuto qualche giorno dopo.
Eccessiva la modalità degli arresti: un blitz che sorprende Giovanni Toti all’alba, in un albergo di Sanremo con ampia scenografia spettacolare dei suoi trasferimenti, prima a casa a Genova, poi viaggio a Ameglia, dove scelse il suo domicilio da detenuto.
Eccessiva la misura dei domiciliari per il presidente della Regione Liguria, che durano da questi due mesi e venti giorni? Molti esperti anche “giustizialisti” l’hanno considerata un di più rispetto a un avviso di garanzia con magari qualche “interdittiva” come quelle applicate ad altri imputati del processo.
E magari non possibile per un imputato politico con un incarico pubblico a elezione popolare, tra l’altro a larga maggioranza.
Ma qui gioca il castello delle accuse, sopratutto di quella per corruzione, che si fondano su un passaggio di denari non nelle tasche dell’imputato, ma nei conti della sua Fondazione Change e non in una cifra superiore ai 75 mila euro. Qui gioca il sistema di potere di cui Toti sarebbe al centro.
Eccessiva la difesa di Toti nel suo secondo interrogatorio, dopo il primo nel quale non aveva risposto, corredato da una maximemoria scritta dall’imputato stesso, con l’errore di averla diffusa mediaticamente, prima di consegnarla ai giudici.
Errore che può avere pesato nelle successive decisioni del Gip e del Tribunale del Riesame sulle sue istanze di revoca dei domiciliari.
Eccessiva la misura di detenzione prolungata in carcere all’imputato Paolo Emilio Signorini, unico a finire dietro le sbarre, anche se per un numero di dazione di “tangenti” più evidenti nel destinatario e continue, ancorchè inquadrabili in un rapporto testa a testa con l’altro imputato “forte “ del processo, l’imprenditore Aldo Spinelli, per eccellenza il corruttore numero uno.
Ma qui gioca anche l’impossibilità del Signorini di trovare un soluzione “blindata” per i suoi domiciliari, infine concessi in un alloggio all’uopo affittato dal fratello con l’assistenza della figlia.
Eccessiva la misura dura dei domiciliari all’ottantaquattrenne Aldo Spinelli, considerato dai giudici in grado di continuare a reiterare i reati e a inquinare le prove, ma pur sempre un uomo anziano cui fino a ieri è stata negata la possibilità di incontrare il figlio co-imputato e solo interdetto. Alla fine l’incontro tra padre e figlio in presenza di avvocati e ufficiali della Finanza è stato concesso, due mesi e diciannove giorni dopo, ma solo per un’ora, quando in carcere i colloqui tra detenuti e parenti avvengono almeno per due ore.
Eccessiva dopo due mesi la notifica di una seconda ordinanza di arresto, che ripete quanto era emerso negli atti precedentemente conosciuti, tra l’altro, in continue pubblicazioni di intercettazioni che ripetevano lo stesso spot del dialogo tra Toti, l’amministratore delegato di EsseLunga, Franccesco Moncada, il capogabinetto della Regione, Andrea Cozzani, l’editore di Primocanale, Maurizio Rossi, a proposito dei passaggi pubblicitari sul maxischermo del Grattacielo genovese.
Ci saranno state esigenze procedurali, ma che ci azzecca questa seconda stangata a due mesi e dieci giorni dalla prima?
Eccessivo il balletto intorno alle dimissioni di Giovanni Toti dalla carica di presidente, spesso indicata come mossa sufficiente a fargli guadagnare l’uscita dai domiciliari e sostenuta da tutto l’arco dei partiti della sua maggioranza di centro destra come il “punto” della sua resistenza politica, giustificata dalla sua investitura popolare, intoccabile a misura di Costituzione.
Tanto è vero che sarebbe pendente un ricorso alla Suprema Corte sul quesito se si può detenere un imputato scelto elettoralmente dal popolo.
Errore colossale. Ci sono centinaia di migliaia di casi di eletti dal popolo che al momento dell’arresto hanno, come primo atto, con un piede ancora fuori dalla detenzione, rassegnato le dimissioni.
Per quanto riguarda la Liguria basta ricordare il sindaco Claudio Burlando dimesso al momento dell’arresto e del trasferimento in carcere, salvo poi essere prosciolto in istruttoria.
Per non citare i casi infiniti di chi non deteneva incarichi elettivi e comunque esercitava ruolo importanti che si è subito dimesso davanti all’ombra del sospetto.
Che dire anche tra gli elettivi e i prescelti per il governo del Paese di Claudio Scajola, dimessosi nel 2001 subito da Ministro dell’Interno, appena erano usciti gli articoli con un suo supposto giudizio pesante su Marco Biagi, vittima delle Br?
O quando lo stesso si dimise dal governo, ministero dello Sviluppo Economico, mentre trapelava la storia della “casa acquistata a sua insaputa”??
Qui si tratta non di una condizione “politica”, ma prima ancora è una condizione di rispetto verso un potere dello Stato come la magistratura, che prende una decisione nei tuoi confronti. A prescindere da chi sei e cosa rappresenti.
E per garantire libertà maggiore non solo a chi indaga, ma all’ente o istituzione da cui dipendi, ecco che si preferisce lasciare l’incarico e il ruolo in attesa che il processo faccia li suo corso.
E’ chiaro che oggi il rapporto tra politica e magistratura è cambiato e assomiglia a un conflitto permanente, nel quale ogni parte esercita il suo potere.
E’ il caso palmare di Toti, che ha resistito oggi, calcolando la sua decisione sulle dimissioni o meno come un braccio di ferro nel quale per lui la contropartita sembra essere non solo il ritorno alla libertà, ma anche un percorso politico più agevole da dimissionario o da resistente.
E’ eccessivo che questa decisione tenga in ballo una regione intera nei suoi aspetti politici e amministrativi, incerta intorno a quella casa di Ameglia chiusa dal cancello bianco, mille volte visto in tv, nella quale i partiti della maggioranza di Toti sembrano dei re travicelli balbettanti su ogni mossa.
Per non parlare della enormità mai vista di questi colloqui concessi al detenuto di incontrare compagni di giunta, altri leader politici, in una processione senza sosta, nella quale si avvalora la tesi di una regione governata dai domiciliari per interposte persone e di una linea politica dettata da chi sta rispondendo, comunque, di accuse tutte da provare, ma pendenti pesantemente su un sistema del quale questi pellegrini della processione facevano parte in diverse misure e con diverse responsabilità.
Cosa sono stati questi incontri-confronti dai quali gli interlocutori escono con proclami retorici, molto fini a se stessi, se non con bollettini abbastanza ridotti sullo stato del detenuto.
Eccessivo in realtà tutto il caso costruito negli ultimi 87 giorni nei quali lo scacco ligure è diventato veramente uno scacco matto destinato a prolungarsi, se verrà coltivata la decisione dei giudici inquirenti di procedere a un “giudizio immediato”, che accelera i tempi da una parte, ma prolunga la detenzione domiciliare dell’imputato principale Toti, ma anche degli altri di conseguenza, in un processo infinito nel quale le carte continueranno a sgorgare incessantemente, tenendo sulla corda una regione, ma anche una opinione pubblica stremata da una incertezza di fondo non destinata a risolversi.
O in Liguria esisteva un sistema di potere blindato, una oligarchia bloccata, nella quale le concessioni portuali, e non solo quelle, venivano elargite sempre agli stessi, per non dire allo stesso, in cambio di un sostegno economico al movimento di Toti, affamato di finanziamenti anche pe la sua “unicità” distinta dagli altri partiti del centro destra, in sospensione tra civismo e moderatismo.
Oppure quanto è accaduto prevalentemente oltre due anni fa e secondo l’accusa poteva continuare ad accadere è solo un sistema di relazioni, fondato sulla fluidità di connessioni tra la parte politica e quella imprenditoriale, in un cerchio stretto nel quale gli imprenditori, o meglio l’imprenditore, concedeva i suoi favori e i suoi finanziamenti in cambio di un atteggiamento sensibile e veloce di fronte alla sue domande di concessione.
Senza che ci fosse la richiesta chiara di elargizioni in cambio di quelle decisioni.
L’accusa di corruzione, che è destinata, comunque, a resistere nel corso dei gradi del giudizio, si gioca tutta sul peso che i magistrati dell’accusa e poi quelli dei vari gradi di giudizio daranno a quel rapporto.
Richiesto pesantemente per telefono, negli incontri riservati e segreti, nelle riunioni sullo yacth, mangiando caviale e patate, presentando i conti delle suite a Montecarlo, dello scommesse al tavolo verde o semplicemente concesso per ungere, facilitare, mettere nello condizioni di fare presto e bene quello che si richiedeva?
Eccessivo insomma tutto nella vicenda, che rimane appesa alla posizione di Toti, a questa aria di fine impero che, comunque finisca, circonda la Regione, gestita per nove anni da questo ex giornalista-direttore-ex delfino di Berlusconi, rapidamente appropriatosi di un ruolo che ha calzato con capacità comunicativa esorbitante, ultramediatico, trasbordante nelle sue relazioni politiche, onnipotente da La Spezia a Ventimiglia, trascinante nella conquista della “roccaforte rossa”, che era quasi tutta la Liguria e che domani chissà cosa sarà.
Non un’altra roccaforte rossa, ma neppure il feudo del centro destra, semmai quello di un civismo strisciante. Che è sempre una sentenza sulla fine dei partiti.
Eccessivo infine il peso gettato sulla bilancia della lunga vicenda dall’inizio alla fine dal ministro di Giustizia, il Guardasigilli Nordio che prima ha criticato l’inchiesta per la sua esplosione improvvisa dopo due anni di indagini e poi ha sentenziato che non capiva nulla nell’Ordinanza con la quale il Tribunale del Riesameveva rigettato l’istanza di Toti per uscire dai domiciliari.
“Capisco la fenomenologia di Hegel, appena riletta, non capisco questa ordinanza”, ha conclamato il Guardasigilli, dimenticando che il suo ruolo, semmai, è inviare ispettori a chiarire e non intervenire direttamente sulle decisioni dei “suoi” magistrati.
E anche questo entra certamente nella “fenomenologia” degli eccessi di questa vicenda.