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Il saluto romano incendia la politica, poi non vi chiedete perché gli italiani non vanno più a votare

Il saluto romano è un reato o no? Interrogativo complicato a cui la Corte di Cassazione ha risposto con un “ni” scatenando infinite polemiche. Come al solito.

È un problema importante? Forse no, viste le grandi difficoltà in cui si dibatte l’Italia. Cosicchè, invece di dipanare le innumerovoli matasse che il Paese dovrebbe sciogliere, ci si accapiglia su questioni che non porteranno nulla al nostro futuro.

Possibile che si debba ancora discutere su fenomeni ormai superati dalla storia.? In Italia, fascismo e comunismo non hanno nessuna ragion d’essere dato che sono stati “aboliti” dagli avvenimenti che si sono susseguiti negli ultimi anni. 

Allora, perché ancora litigare su sostantivi che non esistono più? Non sarebbe meglio trovare soluzioni diverse che aiutino finalmente il Paese ad uscire dalle sacche che lo deprimono? Sarebbe logico e comprensibile rispondere di si, ma succede l’esatto contrario.

Destra e sinistra si dividono, ad esempio,  se mandare ancora le armi agli Ucraini; se bisogna introdurre il salario minimo; se aumentare le tasse con una patrimoniale; se è bene candidarsi alle europee di giugno; se e come combattere il clima; se il premierato vuol dire ritorno al sovranismo; se la legislatura avrà la forza di durare per cinque anni; se si ha il desiderio di  votare direttamente (il popolo) per l’elezione del presidente del consiglio.

Per farla breve, le preoccupazioni sono tante, la povertà non diminuisce e sono numerose le famiglie che non riescono a mettere insieme il pranzo con la cena. Se dunque, si vuol bene alla Nazione in cui abitiamo, la classe politica dovrebbe avere un criterio diverso: invece che dividersi ogni giorno come Guelfi e Ghibellini, studiare insieme le formule che ci diano respiro e ottimismo. 

Per carità: nessuno vuole mettere in dubbio che le elezioni debbano proclamare un vincitore e uno sconfitto: maggioranza e opposizione rapprresentano il bene della democrazia. C’è chi deve governare perché gli italiani hanno voluto così e, al contrario, esiste una minoranza che deve essere come un cane da guardia pronto a fiutare il pericolo o gli sbagli e dare quindi l’allarme.

Tutto in una condizione di “poltically correct”: ciò significa non considerare l’avversario un nemico, ma solo una persona che la pensa in maniera diversa. E’ lecito avere pareri contrastanti? Ci mancherebbe!

Pensate che noia sarebbe il mondo se tutti avessimo  gli stessi desideri. Da qui a sfidarsi quotidianamente su questioni che hanno poco peso ce ne manca. I dilemmi di oggi: Eddy Schlein deve ricercare un posto in Europa? Lo stesso interrogativo vale anche per il premier. Nel Pd, sono le rappresentanti del gentil sesso a scatenarsi e a non volere il segretario fra coloro che partecipino alle europee. Lo spazio per le donne del partito si assotiglierebbe e addio allora alla difesa di genere. Il femminismo si pratica, non si predica. 

Dall’altra parte della barricata ad avere dubbi e perplessità sono i due partiti con minori parlamentari; Forza Italia e Lega temono che lo strapotere di Giorgia e del suo partito si espanda fino a che nella triade la loro voce in capitolo sarebbe nulla o quasi. Si mettono continui paletti, gli ostacoli più imprevedibili per arrestare questa marcia trionfale della premier.

Allora, se io ti dò il governatore in Sardegna, io pretendo un presidente in Basilicata; se vuoi mettere una tassa sugli extraprofitti delle banche io (Antonio Tajani) che cosa avrò in cambio?

Si inseguono gli interessi di partito o forse pure quelli personali per evitare di essere messi all’angolo.

E’ chiaro che in questo modo, il Paese non potrà andare avanti. Si accontenterà di una poltrona di rilievo o di un banco a Montecitorio o a Palazzo Madama. Al resto chi ci penserà? Ecco quello che dovrebbe essere l’obiettivo di tutti: dei politici e della gente comune che diserterà sempre più le urne se non si fiderà di chi dovrebbe fare gli interessi del Paese: colori rossi, verdi, neri o gialli senza distinzione di sorta. 

 

Bruno Tucci

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