Emmanuel Macron ha fatto una sciocchezza, per non dire peggio. Scegliendo Michel Barnier, uomo della destra moderata competente e rispettabilissimo, ha commesso un errore politico gigantesco. Il nuovo governo Barnier, vivrà solo grazie al Rassemblement National di Marine Le Pen, che potrà farlo cadere in qualsiasi momento.
Dopo che un improvvisato, ma efficace, fronte repubblicano aveva impedito all’estrema destra di ottenere la maggioranza assoluta, adesso i lepenisti possono fare il bello e il cattivo tempo: potranno minacciare a piacimento la sfiducia per evitare il voto di qualsiasi provvedimento che non piaccia al loro partito xenofobo. E’ ancora presto per dire quel che accadrà nella prossime settimane, ma il presidente della Repubblica ha veramente giocato male tutte le sue carte.
Non è stato il solo. Tuttavia, porta la maggiore responsabilità: in fondo, la costituzione attribuisce solo a lui la nomina del primo ministro e lui ha scelto un uomo, sia pur insospettabile di simpatie lepeniste, che finirà probabilmente ostaggio dell’estrema destra.
Certo, Barnier è un grande europeista e ha gestito con maestria la Brexit a nome dell’Ue, si tratta però di titoli politicamente insufficienti. Macron è stato sconsiderato e il fatto di non aver trovato sponde a sinistra nel dopo-elezioni, durato ben sessanta giorni, non basta a giustificare il suo operato.
I socialisti hanno avuto certamente la loro parte di responsabilità. Legati da un’alleanza elettorale con la France insoumise di Jean-Luc Mélenchon, personaggio poco frequentabile, hanno deciso che non avrebbero lasciato passare un governo guidato da Bernard Cazeneuve, socialista, primo ministro con François Hollande, feroce oppositore di qualsiasi alleanza con Mélenchon. E non hanno nemmeno suggerito, nel segreto dei colloqui di questi giorni, un nome diverso da quello di Lucie Castets, funzionaria di alto livello e di qualità, ma politicamente ingenua. Si è rapidamente presa per una superstar e non è riuscita a nascondere la sua dipendenza da Mélenchon e dal suo programma.
Il pragmatismo, inutile ripeterlo, non fa parte delle abitudini del personale politico francese, da più di sessant’anni drogato da un sistema monarco-repubblicano per il quale il capo supremo eletto a suffragio universale è il deus ex machina. La realtà politica è oggi molto diversa, la Francia non è più divisa in due blocchi contrapposti (destra-sinistra), ma almeno in tre. Il che richiede duttilità e apertura al dialogo. I socialisti non si sono dimostrati all’altezza, ad eccezione della forte minoranza interna, rimasta, per l’appunto, minoranza. Ciò non toglie che il vero responsabile della situazione sia Macron. Ha tardato molto a riconoscere di essere uscito sconfitto dalle elezioni politiche.
Non ha saputo ammettere che il fronte repubblicano improvvisato per battere Le Pen doveva essere riconosciuto. E non ha nemmeno capito che il paese aspettava un segnale di rottura e che avrebbe dovuto lasciare via libera a un governo in grado di rimettere in discussione qualcuna delle sue riforme, come minimo una revisione di quella delle pensioni.
Non essendo riuscito a liberarsi di una visione piramidale del potere, Macron ha finito per nominare un primo ministro che fin dalla sua nomina è ostaggio dell’estrema destra. Un risultato ben triste, che rischia di macchiare i suoi ultimi anni all’Eliseo. In fondo, la cosa migliore per lui sarebbe una sfiducia immediata del parlamento a Barnier. Ma Marine Le Pen, cresciuta alla scuola del padre, è furba, e rischia di incastrare un presidente che si voleva baluardo contro l’estrema destra. Barnier è un uomo abile, ma a sinistra non troverà né comprensione né ministri. E potrà restare a galla solo finché vorrà Marine Le Pen.
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