Impazza il toto-federatore. Aperta la caccia ad un nome che infiammi. Una parola. Il Pd cerca qualcuno che unisca i suoi moderati di destra. Diciamo le cose come stanno: la caccia è in realtà una operazione d’attacco alla leadership della dem. Una partita tra due anime del Nazareno: di qua l’ala moderata interna al partito, di là l’ala che punta a rinforzare i centristi. Nomi se ne fanno tanti. Ernesto Maria Ruffini, ad esempio; da venerdì 13 dicembre ex capo della Agenzia delle Entrate. Appena ha visto i riflettori ronzargli intorno ha dato le dimissioni con un addio polemico (“Lottare contro chi evade sembra una colpa; le tasse nom sono un pizzo di Stato”). A molti non è piaciuta questa (presunta) testimonianza di “martire sull’evasione”. E già che erano sull’ argomento gli hanno snocciolato i numeri da record della riscossione, numeri che lo smentiscono.
Sarcastici i leghisti (“Buon lavoro lontano dalle tasche degli italiani”). Ernestino non ha fatto una piega. Ne ha solo approfittato per dire che, al momento, esclude ogni impegno politico; ma non ha smentito le voci di un suo flirt col Pd. E così di candidati federatori ne sono rimasti tre: Beppe Sala, l’ex capo della Polizia Franco Gabrielli e l’ex Commissario Ue Paolo Gentiloni, in passato presidente del Pd, dopo Renzi. E il leader di di Italia Viva ha già detto la sua: ”Federare i moderati? Conviene anche a sinistra. Chiunque sarà il federatore nei prossimi mesi, dovrà convincere le persone che oggi votano Forza Italia”.
Il trio (per ora) scalpita. In fondo sono dei “papi stranieri”, presi dalla cosiddetta società civile e proiettati verso Palazzo Chigi; condottieri però senza esercito e munizioni. Il loro è un cammino tutto in salita. Per capirci, non hanno l’unghia di Matteo Renzi che quando si è messo in testa di prendersi tutto il partito e sbolognare la opprimente gerarchia – segretario Guglielmo Epifani – ha preso la scure dei pellirossa, l’ha usata contro lorsignori ed ha scalato in modo ostile il partito rimanendo in sella poco più di tre anni e prendendosi anche delle belle soddisfazioni. Poi ha deragliato con Calenda, ma questa è un’altra storia.
Va detto: dietro l’addio anticipato di Ruffini (il prestigioso ruolo scadeva il 13 dicembre; e la porta sbattuta ha irritato la premier Meloni) si leggono le mosse della fronda che vuole azzoppare la segretaria dem e trovare un nuovo leader. Ruffini, dimettendosi tra i veleni, ha ufficializzato il disagio sempre più diffuso verso la leader dem. Elly Schlein che all’epoca si era imbucata alla festa Pd (“Non mi hanno vista arrivare”) prendendosi tutto, ora rischia di essere scalzata.