Home > Notizia per Notizia > Politica > In quel caffè…non la canzone di Paoli ma il destino di un ministro: chi pagò il conto?

In quel caffè…non la canzone di Paoli ma il destino di un ministro: chi pagò il conto?

Il mistero è tutto in un caffè. E’ stato pagato o no con i soldi pubblici? Se si, il ministro della cultura Gennaro Sangiuliano dovrà dimettersi. Altrimenti ci saranno altre verifiche, non mancheranno i pro e i contro. Insomma, polemiche a non finire per la gioia dei social che in fatti del genere ci inzuppano il pane.

Sangiuliano a rapporto per lo scontrino

Giorgia Meloni ha avuto un faccia a faccia con il suo collaboratore: più di un’ora di domande e risposte che non hanno svelato il quid. Quindi, per il momento Sangiuliano rimarrà al suo posto, ma sub iudice, perché l’opposizione non gli darà tregua e vorrà andare sino in fondo.

Poche righe per spiegare la vicenda. Al centro della disputa c’è una signora, Maria Rosaria Boccia, che ha collaborato per un certo periodo con il ministero di Sangiuliano. Diventando una sua consulente. Con il danaro di chi? “Non nostro”, dicono fonti del ministero e cioè di Sangiuliano.

La giovane Boccia in trincea

Lei smentisce categoricamente e mostra alcune ricevute di pranzi e biglietti di treno sui quali non ha tirato fuori nemmeno un euro dal suo portafogli. Il tira e molla continua, i social non danno tregua, parlano e scrivono praticamente solo di questo.

Il post di Maria Rosaria Boccia
In quel caffè…non la canzone di Paoli ma il destino di un ministro: chi pagò il conto? (Foto Ansa) – Blitz Quotidiano

Dov’è la verità? Chi ha ragione e chi torto? Lasciamo stare i pettegolezzi privati su cui è doveroso non entrare. Ognuno, nelle quattro mura domestiche, può fare ciò che vuole. E’ il problema politico che sta investendo il Parlamento e soprattutto l’esecutivo. Giorgia Meloni, all’inizio, ha cercato in tutti i modi di non entrare nella polemica; poi non ha potuto fare a meno di interessarsene. “Debbo fidarmi del mio ministro”, dice. Se poi i fatti dovessero prendere una piega diversa, quel che accadrà ce lo confesserà il futuro.

La vera questione è un’altra, molto delicata e non prevedibile. Infatti, se Sangiuliano dovesse dimettersi, i guai sarebbero a questo punto soltanto della premier che dovrebbe sostituire ben due ministri: Raffaele Fitto che ben presto andrà a Bruxelles alla corte di Ursula von der Layen e appunto il responsabile della cultura.

Insomma, ritorna di moda la parola rimpasto che a Giorgia non piace affatto. Se si doveva riempire il vuoto lasciato da Fitto, il problema sarebbe stato di facile soluzione: si andava alla ricerca di un tecnico di chiara fama e tutto sarebbe rientrato senza scossoni. Quando saranno due i ministri che non avranno più un ruolo sarà gioco forza inchinarsi al termine che la Meloni non voleva nemmeno pronunciare.

Perché? Quale ritrosia la prende in questo caso? E’ vero che qualsiasi scombussolamento può giocare brutti scherzi a chi guida l’esecutivo. L’opposizione dirà di no a qualsiasi decisione anche se i nomi saranno di tutto rispetto. Non solo, ma bisognerà fare i conti anche con il fuoco amico. Per essere del tutto chiari, Antonio Tajani e Matteo Salvini non vorranno proporre persone di loro gradimento magari vicinissime ai loro partiti?
Ecco il motivo per il quale la premier temporeggia e cerca una via d’uscita che rimetta tutti d’accordo, forse pure l’opposizione.

Comunque, è troppo presto per avventurarsi in ipotesi che potrebbero essere smentite dai fatti. La speranza per il nostro Paese che ha non pochi problemi da risolvere (i migranti, la sicurezza, la scuola, la sanità, l’autonomia differenziata, il ponte di Messina, il salario minimo) è che si trovi subito chi ha pagato quel caffè e agisca di conseguenza. Giusto?

Gestione cookie