Ci mancava il generale libico Osama Almasri far bollire ancora una volta la pentola della politica italiana già abbondantemente sopra i 90 gradi.
Scriviamolo subito con estrema chiarezza: la frettolosa vicenda è assai strana ed anche un pochino misteriosa, se vogliamo usare un eufemismo.
L’alto ufficiale viene arrestato dalla polizia italiana perché contro di lui c’è un mandato di cattura internazionale. Come responsabile del centro di detenzione di Mitiga (famoso per la sua delicatezza) Almasri ha al suo attivo decine di torture per chi magari non risponde alle sue domande trabocchetto.
Tutto ok, entra nelle patrie galere italiane e dopo un battito di ali ne esce per salire su un aereo che lo porta a Tripoli.
Prima domanda: perché viene rilasciato? “Per un errore di procedura”, è la risposta: una debole giustificazione che serve solo a tamponare le prime polemiche. Seconda domanda: sapete come raggiunge la Libia il generale? Con un aereo di Stato italiano, neanche fosse un’altissima personalità della sua Nazione invece che un detenuto appena liberato.
Scoppia il temporale: la sinistra tuona, pone alcuni interrogativi di tutto rispetto, vuole sapere in primo luogo perché è stato usato un nostro velivolo per quell’inspiegabile viaggio. Poi, si debbono conoscere con esattezza le ragioni della sua liberazione.
Cominciano a girare le prime voci, i primi rumors che non hanno il dono dell’ufficialità, ma non si possono nascondere. Forse il generale era al corrente di segreti che avrebbero turbato il nostro Paese? E chi poteva essere il protagonista o i protagonisti di questa storia?
La Corte dell’Aja non si fa attendere: chiede spiegazioni all’Italia e le vuole con una certa urgenza. Da questo momento in poi scende il silenzio sulla precipitosa liberazione del generale. Non parla nessuno: né Palazzo Chigi, né gli stretti collaboratori della premier.
Insomma è alquanto chiaro che sulla “fuga” dell’alto ufficiale si scateni la reazione dell’opposizione. Il “mistero” ha bisogno di spiegazioni, così come le desidera la magistratura europea. “Si strumentalizza un fatto che non ha niente di oscuro”, rispondono alcune voci della maggioranza. “Il paragone è facile se analizziamo il caso della giornalista Cecilia Sala”.
Ma sono parole che valgono poco, ci vuole ben altro per acquietare la minoranza che stavolta ha tutte le ragioni per alzare la voce. Quanto alla nostra collega ci fu uno scambio: un “do ut des” plateale, forse giustificabile. “Io ti libero la tua cittadina, tu mi rimandi in Patria l’iraniano che avete arrestato”. Fine della similitudine.
Se vogliamo venire incontro a Giorgia Meloni possiamo ritenere che ha altre gatte da pelare in questo momento: il caso di Daniela Santanchè. Si dimette o la pregano di fare un passo indietro? Senza contare i vari screzi che turbano l’alleanza di destra.
Come pure quella di sinistra che non trova un denominatore comune nemmeno a pagarlo oro. Ad esempio: pure il nuovo “centrino” capitanato da Graziano Del Rio e Romano Prodi ha idee diverse dalla segreteria del Pd sulla politica estera, vedi Ucraina.
L’affanno è continuo, senza un attimo di tregua. Nel frattempo i vari problemi che assillano il nostro Paese ristagnano. Non si trova la quadra nemmeno sulla scelta dei quattro giudici che mancano alla Consulta. Ennesima fumata nera, non le contiamo più.
Però, attenzione: fra una manciata di giorni, vale a dire l’11 febbraio, si aprirà lo scenario sul festival di Sanremo. Comincia l’ora delle canzonette, la politica può attendere.