La destra estrema avanza nel mondo, da  Parigi il quadro è inquietante anche per il vuoto di idee a sinistra

La destra estrema avanza nel mondo, da  Parigi Giampiero Martinotti presenta un quadro inquietante.

Ci eravamo illusi : le elezioni spagnole del 23 luglio avevano segnato la sconfitta dei ‘meloniani’ di Vox, quelle polacche del 15 ottobre avevano messo in un angolo il Pis, altro partito amico di Fratelli d’Italia, sopraffatto da una coalizione guidata dal centrista Donald Tusk.

La netta vittoria di Geert Wilders nei Paesi Bassi riporta invece in primo piano l’ascesa di un’estrema destra particolarmente aggressiva.

Certo, le circostanze internazionali hanno aiutato Wilders: l’opinione pubblica è stanca, per usare un eufemismo, della guerra in Ucraina. E il bagno di sangue in Medio Oriente ha riacutizzato la paura del terrorismo islamico in tutta Europa, Italia compresa, come dimostra il recente sondaggio della Demos di Ilvo Diamanti.

E quando gli elettori sono impauriti è facile conquistarli amalgamando attentati e migranti.

   Le circostanze, tuttavia, non bastano a spiegare l’imprevisto trionfo di Wilders. E’ sufficiente guardare una cartina del continente per rendersi conto che l’estrema destra è già al governo in sei paesi e in un settimo (la Svezia) offre un appoggio esterno indispensabile. In gran parte dei paesi dell’Ue i populisti sono il primo o il secondo partito.

La vittoria di Javier Milei in Argentina ha scarso impatto sull’opinione pubblica europea, ma il possibile ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca potrebbe terremotare i nostri sistemi politici.

Non siamo ancora a questo punto, ma l’arrivo di Wilders alla guida del governo olandese sarebbe uno choc, visto che in confronto a lui Giorgia Meloni è una leader moderata.

    La decisione dei liberali olandesi di non partecipare a un governo Wilders ha tranquilizzato le cancellerie occidentali, ma le ombre dell’estrema destra si allungano dappertutto, in particolare in Francia e in Germania.

Le elezioni europee della prossima primavera saranno il primo test. Ma è già chiaro che il Rassemblement National (Rn) di Marine Le Pen e l’Afd di Alice Weidel saranno al centro dell’attenzione.

   Oltralpe, la leader dell’estrema destra sta mostrando un’insospettata maestria nella sua trasformazione in personaggio rispettabile e credibile. Come se avesse vestito il doppiopetto di almirantiana memoria.

Non è mai sopra le righe, bacchetta l’estremismo nero che circola nel suo partito, si è ben guardata dal dire una parola sulla vittoria di Milei e si offre perfino il lusso di votare qualche legge insieme agli altri partiti. E’insomma uscita dal ghetto e l’Rn è il primo partito nei sondaggi.

La debolezza di Emmanuel Macron, senza un vero progetto per il suo secondo e ultimo mandato e senza maggioranza in parlamento, aiuta Le Pen. Le sue ambizioni presidenziali per il 2027 non sono un segreto per nessuno e il campo democratico non ha ancora un leader credibile da contrapporle.

   La situazione non è molto migliore sull’altra sponda del Reno. Olaf Scholz è un leader incolore, la coalizione rosso-giallo-verde è spesso divisa, l’economia tedesca è in recessione.

In un’epoca di crisi energetica e trasformazioni ecologiche è alla ricerca di un nuovo modello di sviluppo. Tutto ciò senza contare i giochini contabili censurati dalla Corte costituzionale di Karlsruhe.

L’ascesa dell’Afd nei sondaggi rispecchia lo smarrimento di un’opinione pubblica inquieta per la situazione economica, traumatizzata dall’invasione dell’Ucraina e oggi sfibrata da un conflitto interminabile. Quindi più incline ad ascoltare le sirene filo-russe e anti-migranti dell’estrema destra e di una parte dell’estrema sinistra.

   Le cause di questa situazione sono state individuate da una ventina d’anni e si riassumono nella contraddizione, fin qui insanabile, tra le popolazioni dei grandi centri urbani (ricche, integrate nella mondializzazione, sensibili ai diritti delle minoranze, paladine delle auto elettriche e delle biciclette) 

E gli abitanti di centri suburbani, cittadine, province (sensibili all’inflazione, spesso tagliati fuori dalle grandi vie di comunicazione e in ogni caso costretti all’uso quotidiano dell’automobile, lontani da medici e servizi pubblici).

Ma se la diagnosi è ormai condivisa da tutti, preoccupa la risposta delle forze politiche democratiche.

   La destra ha una forte tendenza a inseguire i populisti ma, come diceva Jean-Marie Le Pen, la gente vota l’originale piuttosto che la fotocopia.

Quanto alla sinistra di governo, ha abbandonato l’idea stessa di difendere i ceti più deboli economicamente. Preferisce fissarsi sulle minoranze e i diritti civili.

E non capisce più il mondo che ci circonda: la classe operaia, in senso marxista, non esiste più e il nuovo proletariato, frammentato e disomogeneo, le resta estraneo, così come la piccola borghesia sempre più impoverita delle zone periferiche o rurali.

Non a caso il Pd e la Spd tedesca sono  sotto il 20 % nei sondaggi, il Partito socialista che fu di Mitterrand galleggia attorno al 5-6 %.

Solo il Psoe tiene botta in Spagna, mentre il Portogallo rischia di scivolare a destra fra qualche mese. La socialdemocrazia europea avrebbe bisogno di un vero cambio di passo, ma per ora non si vede nessun leader con una vera visione capace di risvegliarla.

Non possiamo più farci illusioni : il vuoto di idee a sinistra (oltre che nel campo moderato) alimenta il voto all’estrema destra e al suo fanatismo semplicista.

 

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Giampiero Martinotti