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La guerra dei dazi di Trump denuda l’Europa e le cause del suo fallimento - Blitzquotidiano.it (Foto Ansa)
Trump vuole modificare la carta geografica dell’America, Putin pretende nuovi territori all’ovest e la Cina sembra accontentarsi di Taiwan.
Se dovesse prevalere la logica delle armi, i destini dei popoli sarebbero segnati dalla terza guerra mondiale.
La battagliadei dazi avviata da Trump può essere il preludio delle politiche imperialiste delle tre Nazioni-guida, che intendono spartirsi i mercati con la forza degli eserciti anziché della potenza produttiva dei beni. L’Europa svolge un ruolo gregario ed è chiamata a scegliere lo schieramento.
Tuttavia, un filo sottile lega America e Europa: entrambi i “continenti” hanno adottato, da almeno trent’anni, il globalismo economico senza alcuna rete protettiva dello Stato, mettendosi interamente nelle mani dei grandi gruppi finanziari.
Inoltre, mentre le catene di comando delle “dittature” producono scelte tempestive, le democrazie sono soggette alle decisioni frammentate di istituzioni deboli.
Alla prova dei fatti, è fallita la politica economica europea basata su un mercatismo che ha comportato la chiusura delle fabbriche considerate mature, ha introdotto una legislazione Antitrust che ha causato il nanismo industriale e Regole che hanno tarpato la capacità competitiva degli imprenditori e la fuga di numeroseaziende. Si è trattato del frutto avvelenato di economisti e giuristi che non hanno saputo guardare lontano e che pretendono di governarci nei prossimi anni.
Trump e la delocalizzazione
![Tim Cook, amministratore delegato di Apple davanti a trump](https://www.blitzquotidiano.it/wp-content/uploads/2025/01/222.jpg)
Allo stesso modo, Trump si trova a dover contenere il fenomeno della emigrazione delle industrie nazionali e della disoccupazione che ne è derivata. Egli è il risultato “popolare” della inettitudine dei governi che l’hanno preceduto (il Suo compreso) e della frammentazione del potere derivata dalla spartizione delle istituzioni tra gruppi politici.
Per cercare di arginare questi mali diventati endemici, Trump ha rispolverato i dazi protettivi, che tuttavia serviranno a poco se il Paese non riuscirà a recuperare l’efficienza produttiva.
Prima di condannare il neo-protezionismo di Trump, bisogna considerare che la Commissione europea sta pensando di introdurre dazi protettivi sull’importazione di auto elettriche cinesi, premi alla produzione nazionale e contributi al consumo.
Effetto perverso delle sovvenzioni europee
Le sovvenzioni a pioggia che i governi europei distribuiscono a chi compra elettrodomestici o automobili hanno un effetto distorsivo delle regole di mercato perché “drogano” la capacità di spesa, incidono sul bilancio pubblico e sono analoghe ai dazi protettivi.
La perdita di competitività dell’Europa e degli Usa deriva dal fatto che il business più redditizio è diventato quello del denaro. Per tale ragione, i capitali si sono diretti in estremo oriente che è apparso come un’occasione di investire in sterminati territori che ricordano le pianure del Mississipi, del nord est del Canada e dell’interno del Brasile.
Gli americani prestavano denaro per la costruzione di ferrovie transnazionali, investivano a Taiwan, dove la mano d’opera costava meno. Solo che, con il passare degli anni, questi Paesi sarebbero diventati player mondiali indipendenti e concorrenti pericolosi proprio sul piano della capacità di investimento “guidata” dallo Stato.
Gli americani hanno concentrato grandi capitali nell’intelligenza artificiale, nello spazio, nei satelliti e nelle armi, abbandonando la “manifattura”. L’idea secondo cui se perdi lavoro nelle attività tradizionali lo recuperi nelle nuove e che quindi si tratti di semplice “riconversione” della mano d’opera, è risultata una menzogna anche perché masse enormi di persone provenienti dai paesi affamati o in guerra, si affacciavano di prepotenza nell’emisfero del benessere.
I dazi di Trump dove porteranno il mondo
Trump ritiene di poter invertire questo corso dell’economia elevando i dazi sulle importazioni per stimolare gli investimenti nelle industrie americane e aumentare la capacità di spesa dei lavoratori. Tuttavia, a fronte dell’aumento della capacità di spesa, si determina un correlativo aumento dei prezzi dei prodotti e quindi un’inflazione che colpisce le categorie più deboli, come risulta da esperienze passate.
Negli anni venti del secolo scorso, gli Stati Uniti ebbero soltanto governi conservatori, i quali imposero meccanismi fortemente protezionistici, come le tariffe di Fordney-Macomber e quelle di Smoot-Hawley, approvate poco prima che iniziasse la grande depressione. Questi governi ridussero al minimo gli interventi assistenziali e determinarono le condizioni per disastrosi conflitti sociali. Alla fine, i dazi divennero una semplice tassa sui consumi interni. L’America si salvò grazie al “new deal”, basato sull’intervento pubblico in economia.
Sull’utilità delle “tariffe doganali” esistono opinioni diverse tra gli economisti di professione: i protezionisti esprimono il
Per esempio, l’interesse dei consumatori europei e americani sarebbe quello di liberalizzare il commercio delle auto a tutti i paesi produttori, Cina compresa. L’interesse delle industrie dell’auto e dei loro operai è l’opposto. Gli argomenti dei protezionisti sembrano irrilevanti ai liberisti e viceversa. Tuttavia, la massa degli individui è più consapevole dei propri interessi come produttori e lavoratori che come consumatori. Per questa ragione le teorie mercatiste sono destinate al fallimento nel lungo periodo.
Parola d’ordine: Recuperare efficienza
Il vero problema dell’America e dell’Europa in questo ciclo economico, è quello di recuperare l’efficienza dell’apparato produttivo, un’impresa titanica che richiederà qualche decina d’anni. Se in America il sogno della classe media continuerà ad essere “”il Mercedes”, i dazi serviranno a poco per i produttori americani di auto, a meno di vietare la circolazione delle auto estere.
In un sistema di libero mercato, l’efficienza competitiva si basa sulle pari condizioni di partenza: se corri i cento metri con gli scarponi da montagna ai piedi, hai scarse possibilità di vincere la gara.
Quali sono i fattori economici che limitano lo sviluppo dell’economia occidentale?
Metterei al primo posto il fatto che i Paesi proprietari di materie prime, rifiutano le regole del libero mercato secondo cui i prezzi si determinano sulla base della domanda e dell’offerta.
I paesi del petrolio si consorziano in monopoli: quando la domanda diminuisce si chiudono i “rubinetti” e i prezzi restano invariati.
Per pareggiare questo “gap” energetico, le Nazioni acquirenti dovrebbero a loro volta consorziarsi pagando con “merci” a prezzi di mercato. Ciò non avviene perché i paesi occidentali, la Cina e gli Stati emergenti, vanno a ruota libera, e immettono nelle economie dei paesi “proprietari” di risorse energetiche, capitali che tali paesi investono in armi e droghe pesanti, in grado di destabilizzare il nostro emisfero. In questo modo il problema “economico” diventa “politico”. In conclusione, le regole del mercato sono ormai aria fritta e ciascun paese si muove per realizzare i propri interessi cercando una qualche situazione di vantaggio: l’Europa è già divisa a prescindere dalla politica dei dazi di Trump.
Trump e lo spumante italiano
Il più grande successo dei produttori italiani di “spumante” sarebbe che Trump mettesse un forte dazio sulle importazioni di “champagne” e che i formaggi francesi e olandesi venissero penalizzati rispetto al nostro parmigiano. La competizione nella vendita di armi tra francesi, italiani e tedeschi è nota al grande pubblico. Insomma, l’Europa delle Patrie è una realtà ben presente a Trump.
Mi domando quale risposta “unitaria” potrebbe dare l’Europa per compensare i dazi di Trump che colpissero i prodotti di questa o quella Nazione. Non credo che la Germania esportatrice di tecnologia e di auto darebbe un contributo per risarcire gli agricoltori colpiti da dazi elevati, o viceversa.
Se dunque ogni “settore” deve proteggersi da solo, l’Italia dovrà pensare a dazi su beni da essa stessa prodotti senza poter contare sull’apporto di altre Nazioni europee. A meno di entrare in rapporti economici stabili con la Cina, come sembra proporre il presidente della Commissione Europea.
L’altra mistificazione del mercatismo è stata l’idea che l’estensione del commercio avrebbe avuto conseguenze positive sulla pace nel mondo: ciò perché i “commercianti” in genere desiderano condizioni di pace. Credo che anche gli osservatori più disincantati possano valutare la relatività di questa affermazione considerando le guerre dichiarate e i focolai di guerra esistenti nell’era del globalismo economico.
Voi pensate che la politica dei dazi sarà applicata da Trump secondo oggettivi parametri di convenienza rispetto ai singoli settori di crisi dell’economia americana? Nulla di più errato; si stanno già muovendo le lobby in grado di ottenere, ad esempio, la rinuncia ad un dazio in cambio di qualche finanziamento a favore del partito repubblicano o di singole aziende.
Potrebbe bastare l’acquisto dei satelliti di Musk, di armi americane, oppure la rinuncia a tassare i capital gain delle multinazionali, per compensare un intero pacchetto di dazi. La contrattazione è già in atto.
La guerra dei dazi non ci deve far dimenticare che esiste una vasta fascia di economia che non rientra nel commercio internazionale. Questa fascia comprende le compagnie ferroviarie e quelle che si occupano di trasporti interni, le imprese di costruzioni, i professionisti e gli addetti ai servizi pubblici e personali.
Tutti questi soggetti non hanno alcun interesse diretto nella controversia come produttori, ma hanno invece un grande interesse come consumatori e come lavoratori.
I nostri governi dovrebbero far comprendere agli italiani il seguente fondamentale assunto: quello che conta non è il costo dei beni e dei servizi posto a carico dei singoli cittadini, bensì il costo complessivo che per essi sopporta il sistema-paese. Ne deriva l’esigenza di utilizzare al meglio le risorse collettive al fine di recuperare tutta l’efficienza possibile.
In Italia, il costo più elevato che deve pagare il Paese è senz’altro quello di una Giustizia inefficiente.
Il recente caso Almasri, appare emblematico dell’attuale conflitto tra Magistratura e Governo. Il dibattito alla Camera ha raggiunto limiti di mediocrità mai visti prima, dibattito il cui solo fine è quello di raccogliere scampoli di voti. E’ risultato evidente che questo Parlamento è composto di incapaci e che il suffragio elettorale non è in grado di scegliere adeguati rappresentanti, molti dei quali vorrebbero giungere al potere per via “giudiziaria”.
Tutto ciò determina la disaffezione dell’elettorato che riguarda destra, sinistra e centro. Ricordo questa circostanza sotto gli occhi di tutti, per rilevare che l’attuale primazia della Magistratura dipende anzitutto dalla classe politica.
La più importante riforma sull’abuso d’ufficio si deve a Prodi, il quale rispose agli avvisi di garanzia con la legge del 1997 concepita dal ministro della giustizia Giovanni Maria Flick, un grande giurista di cui si è perso il seme. Un esempio di legge “ad personam” che non sarebbe stata consentita a Berlusconi. Da allora, l’attività legislativa avrebbe sempre mirato a sostituire considerazioni astratte alla politica reale.
Esiste una norma fondamentale di tutte le democrazie: pur avendo il diritto di combattere il governo, una opposizione non deve contestare quei provvedimenti governativi che essa stessa proporrebbe se fosse al potere. Nel caso in esame la politica della Meloni coincide con quella di molti governi di sinistra del passato.
Tuttavia, se la democrazia è la patria dei diritti, i governi democratici dovrebbero assicurarsi che i Paesi percettori di risorse per limitare l’immigrazione o ad altro titolo, non usino metodi barbari.
Gli enormi fondi europei destinati alla Palestina avrebbero dovuto essere interrotti, perchè tali fondi erano stati incamerati da Hamas ed utilizzati per distruggere Israele.
Le torture delle polizie libiche, note fin dal 2011, dovevano comportare la fine dei sussidi da parte dello Stato italiano, a partire dal Governo Gentiloni.
Si doveva provvedere per tempo senza attendere la “supplenza” della Corte penale europea disinteressata alle conseguenze politiche dei propri provvedimenti. Inoltre, una democrazia “etica” dovrebbe rinunciare ai rapporti commerciali e agli scambi culturali con Israele per i morti di Gaza, con i russi per l’invasione Ucraina, con i cinesi per via di Tienanmen, con la Turchia responsabile di genocidi, con il governo iraniano e afgano che sottomettono le donne.
La Meloni non dovrebbe perdere troppo tempo nello sforzo di separare le carriere dei magistrati. La cosa più saggia sarebbe quella di introdurre una norma che escluda con chiarezza la punibilità dei membri del governo per decisioni politiche: ci saremmo risparmiati, fra l’altro, il rinvio a giudizio di Salvini. L’Articolo 91 della Costituzione Russa prevede l’immunità per il Presidente e così avviene in Cina, in India e negli Usa. Insomma, salvo il caso che un ministro abbia agito per interesse personale, qualunque decisione assunta, ritenuta vantaggiosa per la Nazione, non può diventare materia “giudiziaria”.
Se è vero che la Meloni ha buoni rapporti con Trump, dovrebbe utilizzare questo “credito di fiducia” chiedendo che il governo americano tolga la secretazione su tutti gli atti dei servizi segreti e di governo per fare luce sui principali eventi che hanno destabilizzato il nostro Paese. La Meloni potrebbe chiedere, ad esempio, quale sia stato in contributo della Cia in quel fenomeno oscuro che è stato Mani pulite. Era vero oppure no, che certi magistrati avevano rapporti diretti con i servizi segreti americani, da cui ricevevano informazioni privilegiate?