Trump vuole realizzare in Israele il progetto del canale Ben Gurion, che mettendo anch’esso in comunicazione il Mar Rosso col Mediterraneo ridurrebbe di molto l’importanza del vicino canale di Suez.
Questo è probabilmente il piano che ha in mente (non solo) Donald Trump con la clamorosa idea di deportare, pardòn, “trasferire” dalla Striscia di Gaza a vari Paesi arabi i quasi due milioni di palestinesi che ancora vi sopravvivono e trasformarla in “una bella riviera, paradiso turistico e lavorativo per nuovi abitanti”.
Che poi Gaza venga amministrata dagli USA, come pare sia intenzione di Trump, o venga annessa a Israele, verrebbero presi altri due piccioni con una fava.
Fine dell’ormai da molti anni impossibile nascita dello Stato palestinese e possesso totale, incontrastato e incontrastabile di tutti i giganteschi giacimenti di gas trovati sotto il mare davanti a Gaza e dei giacimenti di gas e petrolio che, secondo una mappa elaborata dall’agenzia governativa statunitense U.S. Geological Survey, si trovano nel sottosuolo di Gaza oltre che della Cisgiordania, che Trump vedrebbe molto volentieri annessa a Israele.
Il progetto iniziale del canale Ben Gurion, ideato negli USA nel ’63 e che prevedeva di essere scavato in gran parte con l’utilizzo di 520 bombe atomiche, prevedeva di collegare il porto israeliano di Ashdod, sul Mediterraneo poco a nord dell’attuale Striscia di Gaza, con il porto israeliano di Eilat sul golfo di Aqaba.
La clamorosa sparata di Trump induce però pensare che il canale destinato a fare concorrenza a quello di Suez – che consente di accorciare di due settimane il passaggio dall’Asia all’Europa e viceversa evitando di dover fare il giro dell’Africa – potrebbe sfociare direttamente a Gaza anziché ad Ashdod.
Ma proprio perché farebbe concorrenza al canale egiziano appare ardua la convinzione di Trump che l’Egitto accoglierebbe parte della massa di profughi forzati palestinesi. Se il progetto andrà avanti vedremo che armi di pressione userà Trump per convincere l’Egitto a inghiottire sia il boccone del nuovo canale che il boccone dell’arrivo di decine o centinaia di migliaia di palestinesi.
Di progetti di canali per collegare il Mediterraneo col Mar Rosso attraverso Paesi arabi ce n’è da tempo più d’uno, ma l’argomento è diventato di attualità con la minaccia degli houthi dello Yemen nei confronti del traffico navale nel Mar Rosso di qualunque nazionalità diretto in Israele. Un canale totalmente in territorio israeliano sarebbe sicuramente molto più protetto da lanci di missili e droni.
A sua volta il progetto made in USA nel ’63 è una risposta alla nazionalizzazione della Compagnia del canale di Suez, decisa dal leader egiziano Nasser nel 1956.
La Compagnia era la società per azioni che aveva costruito il Canale di Suez tra il 1859 e il 1869. All’inizio le azioni erano il 51% della Francia, il restante era suddiviso in varie quote private egiziane comprese quelle del Chedivè d’Egitto. Questi in seguito le dovette cedere all’Inghilterra, che man mano arrivò ad avere il 49% delle azioni. La Compagnia diventò quindi totalmente di proprietà francese e inglese.
La nazionalizzazione provocò l’intervento armato di Francia, Inghilterra e Israele, che però dovettero ritirare i propri contingenti militari a causa del deciso intervento diplomatico degli USA e dell’allora Unione Sovietica.
Gli USA però decisero di affidare al Dipartimento dell’Energia la stesura di un progetto per un canale alternativo a quello egiziano. Al progetto venne dato il nome del fondatore dell’attuale Stato di Israele, Ben Gurion.
Lungo circa 293 chilometri, un terzo in più di quello di Suez, per la sua realizzazione erano previsti tra 16 e 55 miliardi di dollari dell’epoca e avrebbe collegato Eilat sul golfo di Aqaba con il Mediterraneo poco a nord di Gaza.
Partendo da sud, il tracciato attraversava il confine tra Israele e Giordania, la valle del Wadi ‘Araba per circa 100 chilometri, tra il Negev e gli altopiani giordani, passava a occidente del Mar Morto e sfociava un po’ a nord della Striscia di Gaza.
I documenti del progetto sono stati desecretati nel 1996. Si è così saputo che per scavare il tracciato riducendo di molto i costi era previsto l’impiego di 520 bombe atomiche di piccola potenza. Nei pressi del Mediterraneo le atomiche però non sarebbe stato possibile utilizzarle a causa della “popolosa Beersheba e dell’adiacente Gaza”.
Oltre al pericolo houthi c’è però anche il pericolo di incidenti come quello del 23 marzo 2021, quando la gigantesca nave portacontainer Ever Given spinta di lato da un forte vento restò incagliata nel canale di Suez bloccando per vari giorni centinaia di navi.
Attraverso Suez passa circa il 30% delle navi portacontainer. Per l’Italia vi transita il 40,1% dell’import-export marittimo. Nel 2020 vi erano transitate poco meno di 19mila navi, una media 51 al giorno. In totale per il canale egiziano transita circa il 12% del commercio mondiale via mare.
Ma nel primo trimestre dell’anno scorso, 2024, il transito navale è calato del 43% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Non è certo che resti un caso isolato la decisione del colosso danese Maersk di non far transitare le sue navi per Suez a tempo indeterminato.
Come che sia, per i palestinesi dopo le devastazioni e quasi 50 mila morti provocati dalla guerra iniziata il 7 ottobre 2023 si profila qualcosa di peggio della Nakba. Che è il nome dato dagli arabi alla cacciata armi alla mano dalle loro terre e case di 800mila palestinesi per decisione di Ben Gurion già nel 1948, poco dopo la proclamazione della nascita dello Stato israeliano.
Una decisione che è all’origine della tragedia tuttora in corso. E che Trump sogna di eliminare con la soluzione finale di una pulizia etnica radicale, totale e definitiva. Per poi trasformare la martoriata Gaza in amena riviera per nuovi immigrati benestanti e porta di accesso/sbocco del probabile canale Ben Gurion. Che assieme allo sfruttamento degli enormi giacimenti di gas e petrolio creerebbe abbondanza di posti di lavoro.