La rissa di Roè bresciano, quella del doppio choc, le ragazzine col coltello e i compagni che fanno il film,’è un terribile episodio avvenuto giorni fa, che deve farci riflettere a lungo. Innamorate entrambe dello stesso ragazzo, due giovanette non si sopportano e si prendono a pugni e schiaffi fino a che la più grande (quindici anni!) non estrae dalla tasca un coltello e ferisce fortunatamente in maniera non grave la rivale in amore.
Tutto questo accade alla presenza di un gruppo di compagni di scuola, i quali, invece di intervenire, incitano le ragazze a darsele con maggior vigofre e crudeltà. Perchè? Nella comitiva spuntano un paio di coetanei che, forniti di telefonino, filmano la scesa per poi propagarla in rete orgogliosi di aver fatto uno scoop. Chi ha i capelli bianchi non si rende conto, anzi inorridisce leggendo, ma poi non dimentica l’accaduto e cerca di analizzarlo.
Nell’occhio del ciclone finiscono i social, cioè l’informazione a tutto campo. Ognuno ha il potere di scrivere quel che vuole senza la minima regola. Per cui, anche persone che non hanno nessuna dimestichezza con la notizia possono intervenire per dire la loro.
Si vuole forse limitare l’articolo 21 della Costituzione? Assolutamente no. In democrazia tutti possiamo esprimere liberamente il nostro pensiero. Fino a dove, però? Ecco l’interrogativo di fondo del problema. La rete viene presa quasi d’assalto ragione per cui l’informazione soffre ed è piena di notizie inutili (anzi pericolose) e di fake news. Spesso e volentieri si dà ad un giovane poco esperto un computer o un microfono e gli si dà la possibilità di parlare o scrivere di un argomento che non ha né studiato e né approfondito.
Ancora più grave a questo proposito è il dilagare dei telefonini che vengono dati a undicenni o forse meno. Con la scusa che è bene sempre sapere dove si trova il proprio figlio, il cellulare è diventato un must per creature che dovrebbero giocare a palla con i propri compagni o, se femminucce, incontrarsi con le coetanee per svelare i loro piccoli segreti. Così, sono decine di migliaia gli apparecchi che invadono il nostro Paese.
C’è uno psicologo americano, di nome Jonathan Haidt, che spiega perché gli smartphone stanno danneggiando i nostri figli o i nostri nipoti. E’ uno studio interessante perché dimostra quante ore al giorno i ragazzi passano con quell’attrezzo tra le mani. Lo portano a scuola e si indignano se un docente glielo sequestra.
Tornando a casa, informano i genitori, i quali, invece che redarguire il ragazzo, gli danno piena ragione denunciando l’accaduto al preside e minacciano una denuncia. Del cellulare se ne fa uso anche sul tram, sulla metropolitana o sull’autobus che sta portando i giovani a scuola. Ed a casa perdono il loro tempo con i video giochi o chiamando il compagno per parlare di qualche bravata.
Gli effetti di tale comportamento – spiega sempre Jonathan Haidt – sono estremamente negativi se non del tutto autolesionistici, e si moltiplicano fino a danneggiare la salute mentale del giovane. A questo punto sarà bene riflettere se vogliamo davvero il bene dei nostri figli. Altrimenti, in futuro gli episodi come quello verificatosi in provincia di Brescia potrebbero raddoppiarsi se non triplicarsi.
In che modo? Limitando l’uso del cellulare. Primo non portarlo in classe o depositarlo prima di sedersi al proprio banco. A volte si disturbano le lezioni per uno squillo. Secondo, ma non meno importante, contenere l’uso dei telefonini e permetterli solo a giovani che hanno raggiunto una certa età., per esempio quando sono al liceo. In questo modo, la “moda” diminuirà e finalmente si tornerà a leggere un buon libro a tutto vantaggio della cultura e del proprio futuro.
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