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La rissa di Roè bresciano, doppio choc, ragazzine col coltello, i compagni fanno il film

La rissa di Roè bresciano, doppio choc, ragazzine col coltello, i compagni fanno il film. Possibile che si possa essere così perfidi e violenti a quindici anni, quando si è poco più che una ragazzina? Possibile che l’educazione della famiglia (se c’è stata) non abbia insegnato nulla alla protagonista di questo inqualificabile e terribile episodio? Si deve rispondere no se andiamo a rivedere il film dell’accaduto.

La scena si svolge a Roè Volciano, un paese di poco più di quattromila anime in provincia di Brescia. Siamo nei pressi di una scuola, vicinissimi alla fermata di un autobus, linea probabilmente usata solo dagli studenti che debbono andare ad imparare quello che apprendono dai loro insegnanti. 

Le protagoniste sono due ragazzine, una di 15, l’altra di 14 anni che non si sopportano. Sono nate in Italia da famiglie marocchine. Evitiamo di fare i loro nomi nella speranza che in futuro almeno una delle due (l’accoltellatrice) possa riflettere su quanto è accaduto e prendere strade diverse da quelle che l’hanno portata ad essere una mini-criminale.

Dunque, A e B (chiamiamole così) si incontrano nei pressi della fermata e cominciano ad insultarsi. Prima a parole, poi sferrando calci e pugni all’avversaria. Pochi istanti passano tra la rissa e la tragedia. Una delle due tira fuori dalla tasca un coltello e colpisce (non si sa quante volte) la sua rivale. Perchè tanto odio e tanto rancore?  Forse per via di un ragazzo di cui sono probabilmente innamorate come lo si può essere a quell’età. 

B cade in terra ferita ed ecco quello che più stupisce e lascia stupefatti proseguendo nel racconto. 

Attorno a loro un gruppo di compagni di classe con i quali chiacchierano e si confidano ogni giorno. Quanti saranno? Dieci, quindici, il numero non conta. Si rimane trasecolati perché nessuno interviene. C’è di più: la comitiva (se è possibile usare tale termine) non cerca di mettere fine alla zuffa, assolutamente no. Al contrario, incita l’una e l’altra mentre con i telefonini riprendono la scena divertiti di avere uno scoop che raggiungerà presto molti loro amici.

Finalmente, una compagna le divide e strappa il coltello alla quindicenne che poco più tardi viene fermata dai carabinieri e portata in caserma. La quattordicenne, soccorsa, viene portata in ospedale. Ha più ferite sul corpo, ma fortunatamente non è in pericolo di vita. 

Ora, quel che più colpisce la nostra coscienza, non è tanto il grave episodio che è incomprensibile e non è accettabile, anzi lascia perplessi. Forse è l’atteggiamento dei compagni di scuola che sgomenta chi legge. Di che pasta sono fatti quei ragazzi che invece di intervenire hanno voluto riprendere la scena per mostrarla orgogliosi ai loro compagni?

Che tipo di educazione hanno avuto? Quali sentimenti hanno e quale carattere? Il dramma deve farci riflettere e portare alle conseguenze che bisogna correre ai ripari se si vuole costruire una società degna di un Paese civile. Di prepotenza entra in scena quella che è la grande scoperta di questi ultimi 50 anni. I giovani, quindicenni come ventenni, sono affascinati da quel giocattolo chiamato telefonino. Non se ne separano mai, nemmeno durante le ore in cui rimangono svegli e si raccontano le prodezze di alcune scene  da loro filmate.

E’ il protagonismo di cui ci si invaghisce e non se ne può fare a meno. Cerchi sempre di essere più bravo di un altro. Fino a dove? A questo punto deve entrare in ballo la famiglia e l’educazione che si dà ai propri figli. Da anziano genitore quale sono posso dire che è più facile rispondere si invece che no ad un ragazzo che chiede di essere accontentato. Ma a volte la fermezza deve averla vinta anche se per una settimana o di più questo figlio porta il broncio e magari non ti rivolge la parola.

 

Bruno Tucci

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