A Montecitorio, poco dopo le 14 di martedì 8 ottobre, è andata in scena l’ottava fumata nera sull’elezione del giudice della Corte Costituzionale. La premier Giorgia Meloni avrebbe voluto chiudere su Francesco Saverio Marini, consigliere giuridico di Palazzo Chigi nonché padre del premierato, la riforma “madre” tanto voluta dalla premier.
Le opposizioni hanno però fatto muro e non partecipando al voto non hanno fatto eleggere Marini. Per il quorum, infatti, sarebbero servite 363 preferenze (tre quinti dei parlamentari) ovvero, al netto di assenti e possibili franchi tiratori, diverse in più rispetto ai numeri della maggioranza.
L’imposizione di un giudice che, al di là della professionalità dovrebbe essere condiviso, mostra quello che questa maggioranza di Governo ha in mente, a detta di molti osservatori. Si tratta della volontà di occupare tutti gli spazi possibili alla ricerca di una definitiva legittimazione politica e tra la società italiana.
“Il mantra è sempre lo stesso: noi (di Fratelli d’Italia ndr) siamo stati fuori dalle istituzioni per tanto tempo”. Ora quindi si decide di entrarci di peso concedendo solo le briciole a chi non è con noi.
Non che chi ha governato prima non l’abbia fatto. Aveva però sicuramente più tatto. Vedi cosa sta succedendo in Rai, dove la “nuova narrazione” sta portando ad un calo vistoso di ascolti, con nomi importanti messi alla porta e nomi “amici” che non sono all’altezza.
E vedi in questi giorni cosa sta accadendo con il tentativo di elezione in un organo supremo di un giudice che è consiliere di Palazzo Chigi e che ha scritto la riforma del premierato. Lo stesso che ora dovrebbe decidere sul destino di referendum abrogativi che chiedono di cancellare leggi che il Governo ha approvato.
Il partito della Meloni ha stravinto le elezioni, questo è chiaro e incontestabile. Ora ha quindi a disposizione molti posti chiave da occupare. Non avendo una classe dirigente all’altezza, cosa che sicuramente non si costruisce in due anni, in molti casi sta occupando questo spazi con persone prive di esperienza o decisamente di parte.
C’è poi il capitolo riforme. Anche queste andrebbero condivise. Ma come fa notare Bersani nella puntata di Otto e Mezzo andata in onda martedì 8 ottobre, premierato ed autonomia differenziata sono riforme che non esistono in altri paesi.
Si potrebbe obiettare che Bersani sia di parte. Ma pare evidente, leggendo le due riforme, che vengano proposte queste due riforme proprio perché costruite senza che abbiano tutti quei contrappesi tra i poteri che la Costituzione del 1948 prevedeva.
Insomma Meloni ha fretta. Al di là delle opinioni personali, si cerca di far passare un’idea in cui ci debba essere un “uomo forte” al comando che permetta di portare a casa qualche risultato saltando magari qualche passaggio istituzionale considerato superfluo. Così però, pur restando all’interno comunque del gioco costituzionale, si rischia di stravolgere la democrazia come l’abbiamo conosciuta fino ad oggi.
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