Libertà di stampa, questa sconosciuta: è la foto scattata in un paese chiamato Iran dove una giornalista italiana è stata sbattuta in galera non si sa per quale specifico reato.
E’ una notizia che dovrebbe farci riflettere perché forse non conosciamo sino in fondo il significato di questa parola che vuol dire indipendenza, autonomia, emancipazione. Tutti termini che a Teheran e dintorni non conoscono e non sono segnalati nel vocabolario di quel paese. Soltanto, in simili circostanze così tristi, ci rendiamo conto di quanto siamo fortunati noi che viviamo in questa penisola bagnata dal Mediterraneo.
Libertà di stampa in Italia
Se un giorno, uno di noi si alza, va al computer e scrive (educatamente) quel che pensa di un parlamentare o addirittura di un ministro lo può fare senza il pericolo di finire in manette. Lo ripete in modo chiaro ed inequivocabile l’articolo 21 della nostra Costituzione: “Tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.
Ecco perché il calvario di Cecilia Sala ci lascia stupefatti. Non solo perché è rinchiusa in una cella di pochi metri, dorme in terra e una luce la tormenta di giorno e di notte senza la possibilità di coprirsi gli occhi con una mascherina.
Cecilia Sala ha fatto solo il suo lavoro
Sbigottiti lo rimaniamo per il semplice motivo che quella giovane professionista ha la sola colpa di aver svolto con scrupolo il suo lavoro: quello di raccontare la verità.
Lasciatelo scrivere al sottoscritto che per diciotto lunghi anni ha avuto il privilegio e l’onore di essere il presidente dell’Ordine dei giornalisti di Roma. Quei colleghi che andavano oltre le righe venivano convocati e ascoltati. Per carità: le ragioni non riguardavano la libertà di stampa, ci mancherebbe, avremmo violato noi la nostra Carta, però questo sta a dimostrare che la vigilanza non è finita nel dimenticatoio nel mondo professionale a cui apparteniamo.
Al contrario, essere giornaliste o donne libere (senza lasciare da parte gli uomini) è assai pericoloso quando si vive in un regime illiberale. C’ è la possibilità che da un momento all’altro arrivino a casa tua i poliziotti e ti sbattano senza alcun motivo in una cella tre per due nel famoso penitenziario di Evin.
Dove lì rimani non si sa per quanto tempo non perché hai commesso un reato, ma solo perché sei un ostaggio nelle mani del potere. E’ quel che è successo a Cecilia Sala che continua a ripetere con forza: “Fate presto”. Insomma, vuol dire che in questa situazione non si può resistere a lungo. Fortunata è quindi la nostra professione che non limita il diritto di esprimere il nostro parere.
Purtroppo, anche in questo c’è stato chi, nel Palazzo, ha voluto puntare il dito contro l’informazione, rea di essere stata nella circostanza “in religioso silenzio”. Sono parole dette a voce alta da Matteo Renzi, il quale (non me ne voglia) non sa più a che santo aggrapparsi per strappare un titolo sui giornali. Come si fa ad esprimere questi giudizi se ogni giorno sui nostri quotidiani campeggia il calvario di Cecilia?
La musica è sempre la stessa: l’ex presidente del consiglio è sempre più relegato in un angolo. Ultimamente, aveva tentato di tornare in auge servendosi di quella parola magica che risponde al nome di centro. Politicamente voleva dire una chance, una “extrema ratio” per rimanere nel grande giro, ma è stato scavalcato da una iniziativa che ha come protagonisti Romano Prodi, Graziano Del Rio, Pierluigi Castagnetti e mister tasse, al secolo Ernesto Ruffini.
Si chiama Comunità democratica: una specie di vecchia Dc con cui sarà difficile combattere se l’obiettivo è il centro. Come può constatare, senatore Renzi, non siamo in religioso silenzio se possiamo scrivere quel che riteniamo giusto sottolineare.