Lo sciopero dei magistrati: cause e conseguenze di un fenomeno italiano: cosa chiedono i cittadini - Blitzquotidiano.it (foto Ansa)
I magistrati sono entrati in sciopero. Non l’hanno fatto per rivendicare più alti stipendi e meno estenuanti ritmi di lavoro, ma per evitare la separazione delle carriere tra inquirenti e giudicanti. Essi dichiarano di battersi per il diritto di ogni cittadino ad una Giustizia autonoma, rispettosa della Costituzione.
Ma in cosa consiste questa “autonomia”, questo potere esclusivo? La cosiddetta divisione dei poteri significava in origine che un poliziotto, poteva “fermare” una persona per qualche ora, ma solo un magistrato poteva decidere di “arrestarla”. Con il tempo la Magistratura è diventata un potere autonomo che si colloca al di sopra di parlamento e governo, in quanto può decidere sulla costituzionalità delle leggi.
Per indipendenza della Magistratura si intende che ciascun magistrato deve servire solo la legge senza subire l’influenza di forze esterne come i partiti, sindacati e lo stesso “popolo”.
Una legge ad iniziativa popolare può essere bloccata dai magistrati, se ritenuta incostituzionale. In ragione di questo potere “immenso”, ogni magistrato deve essere e apparire imparziale. Non basta essere preparati sul piano tecnico. Infatti la conoscenza non è la virtù.
Non si può tuttavia negare che alcuni gruppi “militanti” avevano fatto una pericolosa scoperta: a fronte dei tempi lunghi della legge esistono provvedimenti giudiziari ad “effetto immediato” che possono essere dirompenti.
L’importante non è la sentenza definitiva ma il discredito che deriva da un semplice avviso di garanzia. Basterà occupare le procure per avviare la delegittimazione “politica” ed “etica” dell’avversario.
Questo metodo è stato analogo a quello adottato in materia giuslavoristica.
L’occupazione delle preture del lavoro era intervenuta con la tecnica del partito leninista che dirige le masse.
I magistrati d’area facevano domanda per essere destinati a questi uffici e in pochi anni l’occupazione è stata totale. Ne è derivata una giurisprudenza penalizzante per i datori di lavoro e, nel lungo periodo, la perdita di competitività del sistema produttivo.
Nelle procure si è verificato lo stesso fenomeno? Posto che “Magistratura Democratica” sia il 20% di tutta la Magistratura, è vero oppure no che questa “corrente” sarebbe “concentrata” nelle “procure” in misura molto più elevata?
Il movimento delle “toghe rosse”, inteso come gruppo di potere affiancato alla “sinistra”, è in parte datato.
Le preture del lavoro sono state liberalizzate alla luce della normativa europea. I reati economici sono diventati meno duri con l’eliminazione del vecchio falso in bilancio. L’attuale scelta “qualificante” riguarda i Centri di accoglienza degli immigrati e le decisioni sui loro diritti.
E proprio su questi uffici convergono le domande di destinazione dei magistrati impegnati nel sociale.
In questo modo, la Magistratura svolge il ruolo di tutelare i principi umanitari “universali” e non si interessa delle conseguenze sociali ed economiche che ne derivano.
I governi devono invece tener conto dei problemi contingenti del “secolo in cui si vive” e devono garantire il benessere e la sicurezza per i cittadini. In caso contrario non sono rieletti. Così è accaduto in America dove un personaggio politico ha preso il potere dichiarando che non avrebbe rispettato le leggi sull’immigrazione secondo i principi dei diritti umani.
L’azione dei giudici italiani sarebbe insignificante senza un “retroterra” culturale e politico, formato da giornalisti, programmi televisivi nazionali e locali, frequentatori dei social, cooperative che svolgono servizi, avvocati, ONG.
La piattaforma elettorale di questo gruppo si basa sulla tutela dell’immigrazione intesa come diritto assoluto e universale, sul lavoro sicuro per tutti o su un salario dignitoso per i disoccupati.
L’obbiettivo è quello di garantire una Giustizia inflessibile verso i potenti e la pulizia morale dei manager pubblici e privati. Si pretende la casa per tutti a costo di usare la forza per abbattere i portoni dei proprietari e, al tempo stesso, si invoca l’imposta patrimoniale per limitare il diritto di proprietà.
I militanti non sono più le masse lavoratrici, bensì i cittadini che non riescono a partecipare alla distribuzione del benessere.
I dirigenti del “movimento” non propongono terapie compatibili con le risorse pubbliche, ma si limitano a denunciare il politico corrotto, l’eccessivo costo della vita, la malasanità, le leggi che bloccano le manifestazioni di piazza.
I disordini sociali in Europa e negli Usa non deriverebbero dall’ingresso incontrollato dei migranti ma dall’incapacità delle polizie a tenere l’ordine pubblico. Insomma, niente a che vedere con le mitiche generazioni di intellettuali a cultura marxista che avevano combattuto i mali dell’industrialismo studiandolo a fondo e sacrificando la propria vita.
L’atto di superbia di queste organizzazioni raggiunge il massimo del qualunquismo, dal momento che, quando governavano loro, utilizzavano gli stessi metodi dei governi attuali.
Il voto popolare tedesco, francese, americano e inglese rappresenta la condanna delle idee fondanti di questi gruppi che sembrano chiudere gli occhi dinnanzi ai morti nelle piazze e all’insicurezza dei quartieri.
La circostanza di cui non si parla riguarda il fatto che i testidell’Onu e della nostra Costituzione, sono stati scritti in epoche diverse da quelle che stiamo vivendo.
Quando è stata redatta la Legge del mare “Safety of life at sea” del 1974 e il “Savage di Londra” del 1989, il naufragio preso in considerazione era quello della singola nave affondata. Quelle leggi non erano certo adatte a regolare i flussi di interi popoli in fuga sui barconi.
Tutto ciò spiega il rapporto “malato” tra politica e Magistratura in materia di immigrazione e di integrazione, che è poi il conflitto tra Valori e interesse economico. Questo aspetto, oramai esteso a tutto l’occidente, è colto principalmente dai rampolli delle famiglie americane che studiano nei college e dai figli delle classi meno abbienti che sfilano nei cortei. Questi giovani ricordano i “delitti”delle precedenti generazioni e arrivano a condannare l’intera civiltà occidentale.
Il più grande conflitto tra Valori ed economia, relativo all’immigrazione di massa, ci proviene dall’Inghilterra ed è terrificante.
Quando, in America, l’Assemblea della Carolina del Sud “sensibile al grande pericolo sociale e politico derivante dal moltiplicarsi della popolazione della Colonia” approvò un pesante balzello sull’importazione degli schiavi, la tassa fu annullata dalla Corona, perché “la tratta degli schiavi è tra le branche più lucrose del commercio inglese”.
I magistrati inglesi di quell’epoca, con le loro sentenze, misero in prima fila gli interessi economici del paese rispetto ai diritti universali dell’uomo stabiliti dal Bill of Rights. Nello stesso periodo la classe operaia, venne schiacciata dall’industrialismo primitivo e dalla forza dell’esercito e della marina britannici.
Si tende a dimenticare che l’industrialismo è stato realizzato inCina e in Russia, paesi che hanno sostituto il socialismo autarchico con il mercato globale, altrettanto devastante di quello inglese di secoli fa.
Le vittime cinesi della mutazione forzata subita da contadini che non volevano riconvertirsi all’industria, sono state alcuni milioni. I paesi che non adottano i sistemi di mercato si sono ridotti a qualche unità primitiva che vive nelle periferie del mondo.
Tuttavia, dal momento che nessuna riforma della Giustizia sarà possibile senza il contributo dei magistrati, la terapia peggiore è quella di isolarli e costringerli a una difesa corporativa ad oltranza. Credo quindi sia necessario avviare un dibattito civile alla luce del sole, senza noiosi tecnicismi da addetti ai lavori.
Per quanto riguarda il problema dell’uomo di governo implicato in un “accidente” giudiziario, Edmondo Bruti Liberati, ex Procuratore della Repubblica di Milano, ex presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati ed ex esponente di Magistratura Democratica, ha dichiarato che il ministro Santanché ha pieno diritto di non dimettersi. Il principio di innocenza fino a condanna definitiva è stabilito dalla Costituzione, chi lo contesta si mette contro la legge Suprema. Ed è un perfetto imbecille, si può aggiungere, dal momento che oggi tocca a te, domani a me.
Ad esempio, Del Mastro, condannato per avere divulgato segreti di Stato, ha urlato il proprio sdegno contro una sentenza “politicizzata”, dimenticandosi che quando era all’opposizione coltivava dossier contro uomini di governo.
Per impostare correttamente il problema, la prima circostanza da evidenziare è di natura statistica. I casi Del Mastro, ossia di condanne di uomini di governo o parlamentari, in Italia si contano a centinaia all’anno, in ogni altro paese europeo forse sono complessivamente qualche unità. Questo perché solo in Italia esiste un’autonomia della Magistratura così marcata. A questo riguardo, si afferma che gli italiani dovrebbero essere fieri per l’efficienza dei giudici mirati a far rispettare la legge “uguale per tutti.
Si tratta di una gag comica, considerato che l’autogoverno della Magistratura non ha creato efficienza e credibilità, dal momento che non esiste Nazione al mondo con un indice di sentenze riformate come in Italia (si parla del 50%). Per avere giustizia l’italiano deve attendere tre gradi di giudizio e qualche volta ricorrere alle Corti europee.
Questa circostanza è stata addirittura strumentalizzata contro la divisione delle carriere: vedete, se il Pm viene “riformato” dai giudici in una percentuale così elevata, vuol dire che non esiste alcun legame tra gli stessi Pm e i giudicanti.
In Giappone le richieste del Pm sono accolte dai giudici con un indice di scostamento del 2%. Se un Pm sbaglia più volte, deve dimettersi per avvenuta perdita di credibilità professionale che, in ragione della delicatezza del ruolo, lo fa ritenere “socialmente pericoloso”. Lo stesso avviene in America: l’accusatore che sbaglia con frequenza non viene rieletto.
Ciò che infastidisce molti italiani non è il fatto che la magistratura sia indipendente, bensì che il singolo magistrato non paghi adeguatamente il proprio errore al pari di ogni altro soggetto che ricopra incarichi di responsabilità all’interno del sistema pubblico e privato. Non si tratta quindi di mettere in discussione l’autonomia della magistratura, un bene per tutti irrinunciabile e neppure di togliere serenità al magistrato che si trova a decidere nel quotidiano, bensì di ridurre i rischi dell’uso della giustizia per fini di gruppo.