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Macron e l’interesse italiano visto da Parigi: a Meloni serve forte, molto più di sorelle e cognati d’Italia

Emmanuel Macron è onnipresente, si esprime su tutto, dalla scuola al Niger. Dire la sua, fissare obiettivi politici rientra nei suoi compiti.

Eppure, nessuno riesce a capire cosa voglia fare il presidente, quale sia la sua linea di condotta. Un secondo mandato è sempre difficile, soprattuto in tempi come questi, dove il carisma politico è diventato una moneta che si svaluta rapidamente.

Per Macron è tutto ancor più complicato: rieletto solo per evitare l’arrivo all’Eliseo di Marine Le Pen, si è ritrovato con una maggioranza relativa in parlamento, il che consente di navigare a vista, non di fissare una strategia credibile a medio termine.

   Nella prima metà dell’anno, Macron ha dovuto affrontare i lunghi mesi di contestazione contro la sua riforma delle pensioni, durante i quali è rimasto molto silenzioso. Poi l’esplosione delle banlieues in seguito all’uccisione di un giovane di origini maghrebine da parte di un poliziotto. Anche in quell’occasione è rimasto in disparte.

Alla ripresa di fine agosto ha convocato tutte le forze politiche, compresa estrema destra e sinistra radicale, nella speranza di costruire maggioranze a geometria variabile. Una sorta di messa cantata da cui non si sa bene cosa potrà uscire, a parte l’annuncio di una conferenza sui temi sociali.

E tutto ciò senza contare il fatto che nella maggioranza cominciano ad apparire le rivalità e le battaglie di corridoio per le presidenziali del 2027, quando l’attuale inquilino dell’Eliseo non potrà più ripresentarsi. Durante la maratona di dodici ore con i leader dei partiti, qualcuno ha messo sul tavolo l’ipotesi di un mandato presidenziale di sette anni non rinnovabile. In quella riunione dal carattere informale, Macron ha definito quell’idea «una funesta cazzata». E su un tono scherzoso avrebbe aggiunto: «Se non puoi ripresentarti, perdi il tuo potere fin dal primo giorno». In Toscana si dice che Arlecchino si confessò burlando…

    Il secondo mandato è stato un rompicapo per tutti i predecessori di Macron che sono riusciti a farsi rieleggere. Perfino il generale de Gaulle fu costretto a dimettersi nel 1969 dopo essere stato sconfessato da un referendum sulla riforma del Senato.

François Mitterrand, nel 1988, si ritrovò con una maggioranza relativa (come Macron) e riuscì a governare grazie al voto di fiducia a ripetizione, oggi vietato dalla riforma costituzionale del 2008. Jacques Chirac non ha avuto maggior fortuna: dopo un primo settennato in cui venne costretto a ‘coabitare’ con il governo socialista di Lionel Jospin, il secondo mandato fu definitivamente azzoppato dalla sconfitta al referendum sulla costituzione europea.

   Con l’arrivo del quinquennio, Macron è ancor più ostacolato: l’arma dello scioglimento dell’Assemblea nazionale è diventata estremamente rischiosa. E tutta l’architettura istituzionale è oggi traballante: il presidente onnipotente è diventato un re nudo, la gestione del Paese è sempre più ridotta alla gestione degli affari correnti. Come se non bastasse, gli unici possibili interlocutori di Macron, quel che resta dei socialisti e della destra democratica, lottano per la loro sopravvivenza, spostandosi sempre più su posizioni protestatarie.

   Tutto ciò, si dirà, riguarda solo la politica interna. In realtà, non è così. Quel che succede a Parigi o a Berlino, piaccia o no, si riflette sulla poltica e sulle scelte europee. Un presidente francese indebolito quando si deve decidere il futuro del patto di stabilità o costruire una maggioranza in vista delle prossime europee è un problema anche per gli altri paesi, in particolare quelli latini.

Giorgia Meloni non ha mai amato Macron, ma non ha alcun interesse a vederlo perdere forza: se non vuole passare per le forche caudine dei paesi nordici, la presidente del Consiglio ha interesse a guardare verso i suoi avversari politici, in particolare il socialista Pedro Sanchez e il centrista Emmanuel Macron. Contano molto più dei suoi alleati interni e di sorelle e cognati d’Italia.

 

 

Giampiero Martinotti

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