
Meloni rispolvera il premierato per distrarci dai guai ma il fantasma di Renzi fa paura - Blitzquotidiano.it (nella foto Ansa: Meloni al tavolo di Downing Street domenica 2 marzo 2025)
Mentre a Parigi l’esercito dei volenterosi si sfalda (meglio definirli svogliati o confusi), Giorgia Meloni entra a gamba tesa su un problema che lei non ha mai abbandonato: quello del premierato, cioè dell’elezione diretta del presidente del consiglio.
Certamente lo sa che la battaglia sarà dura perché l’opposizione è intransigente: parla di pericolo di autocrazia, se non di dittatura. Ma da Capricorno qual è non lascia il suo pensiero per la strada.
La premier si basa sui numeri: da quando è nata la repubblica, nel nostro Paese si sono succeduti 68 governi e 31 premier. Un record al negativo, si intende. Come si fa a parlare di stabilità dinanzi a queste cifre? E come fa un esecutivo a risolvere le situazioni difficili se rimane in carica una manciata di giorni?
Meloni e la madre delle riforme

Ecco, dunque, su che cosa si basa quella che lei stessa definisce la “madre di tutte le riforme”. Possibilità di riuscita? Poche. La vittoria finale? Difficilissima, se non impossibile.
C’è l’ombra del referendum che si affaccia sulla “vexata quaestio” e il governo sa quanto sia pericolosa. Basterebbe chiederlo a Matteo Renzi che da quel momento in poi non ha più potuto rialzare la testa.
Però Giorgia Meloni non demorde e ricorda il suo lavoro: sono 887 i giorni in cui lei siede sulla poltrona di Palazzo Chigi: un giorno in più di Prodi, l’inventore dell’Ulivo, il padrino vecchio e nuovo della sinistra. Addirittura, 35 in più di Aldo Moro che voleva con Enrico Berlinguer riavvicinare le due maggiori forze politiche del Paese: la Democrazia Cristiana e il Partito comunista, con il famoso compromesso storico.
Il quinto Governo più longevo
Il suo, quello della Meloni, in una classifica virtuale, sarebbe il quinto governo di tutti i tempi. Non è poco. Perciò, l’idea provocatoria ha un solo obbiettivo: dimostrare ai cittadini che governare il Paese senza scosse (si potrebbero chiamare definitive) sarebbe un bene per tutti.
Perché la premier rilancia il premierato in un momento così delicato? Per quale ragione sceglie giorni così difficili? Probabilmente (ma è solo una ipotesi) perché si è resa conto a Parigi che non c’è la minima volontà di un risultato comune. L’Europa va avanti in ordine sparso: il francese Macron è un guerrafondaio, vorrebbe mandare subito i nostri soldati a Kiev: il che vorrebbe dire favorire la Russia che non ha mai abbandonato l’idea di un conflitto.
Il presidente d’oltr’Alpe ha un alleato, l’inglese Keir Starmer, che con l’Europa non c’entra nulla per colpa della Brexit. Al contrario, Giorgia Meloni ha un disegno diverso, diremmo opposto: massima disponibilità per la difesa dell’Ucraina, ma i nostri soldati debbono rimanere a casa.
In una confusione del genere, condizione indispensabile sarebbe avere un governo stabile. In grado di decidere: ciò che si deve fare e non fare. Senza il patema d’animo di essere messi in minoranza e ricominciare da capo.
Se Giorgia ritiene di avere ragione deve sapere (e lo sa) che non ha contro di sé tutta l’opposizione, ma anche una parte di chi è al suo fianco. Titubanze, perplessità che rendono oltremodo difficile il suo cammino. I capricci di Matteo Salvini sono ormai diventati un’abitudine, i ni di Antonio Taiani non aiutano il progetto o i progetti della premier. È una situazione di stallo che l’esecutivo non vuole ammettere perché quando poi si va a votare per l’approvazione di una legge il triumvirato si ricompone. Un patto che non è così forte come vorrebbe la Meloni e come dovrebbe essere nel caso in cui il premierato dovesse avere un futuro (referendum a parte).
Un altro must della Meloni è rappresentato dalla sua vicinanza a Trump. Lo ha dimostrato anche in questi giorni, di recente insomma, quando tra le forze europee c’era chi sosteneva che il presidente degli Stati Uniti non poteva sempre dettar legge nel vecchio continente. Alleanza si, ma non sottomissione.
È questo, dunque, lo scenario che l’Europa ha oggi dinanzi a sé. Dopo molti anni di sonnolenza al grido di “tiriamo a campare” adesso è il momento di non rimanere con le mani in mano in attesa della Divina Provvidenza. È giunta l’ora di svegliarsi, di prendere iniziative, di far capire che questo antico e saggio continente nasconde tante capacità che non possono rimanere silenti.