
Meloni vada a lezione da Enrico IV: non c’è pollo nella pentola, gli italiani non si sfamano con Ventotene- Blitzquotidiano.it (foto Ansa)
Probabilmente è soltanto un sogno quello della sinistra: veder cadere quanto prima il governo di Giorgia Meloni.
Perché se l’esecutivo ha ancora forza e non teme crisi, deve ringraziare soprattutto una minoranza che non ha unità e in molti casi, non sa che pesci prendere.
Le divisioni nel Pd sono evidenti, non c’è bisogno di interrogare i sondaggi. Esistono almeno dieci correnti che la pensano in modo diverso.
Badate bene, non si tratta di personaggi minori in cerca di pubblicità. Il primo a dire che così non si può sperare di battere il governo è proprio lui, Romano Prodi, l’uomo dell’Ulivo, considerato per molti versi il numero uno di coloro che sperano in una segreteria diversa. Appare sempre di più nelle interviste, essere in prima pagina non gli dispiace affatto anche se talvolta, dinanzi alle domande scomode, diventa irascibile e perde il controllo dei nervi strattonando chi si è permesso di porgli “un interrogativo del genere”.
È risorto Bertinotti

Dopo di lui (per carità senza malintesi) ecco presentarsi alla platea Fausto Bertinotti, “famoso”presidente della Camera, il quale ritiene che un atteggiamento ondivago dei contrari al governo non porta da nessuna parte.
Non dimentichiamo Dario Franceschini, ex ministro ed ex segretario del Pd, che ha un pensiero completamente opposto a quello di Elly Schlein. “Il campo largo? Una follia”: si vince solo se si va alle urne sparpagliati per poi raggiungere un accordo dopo la sconfitta degli avversari. Con quale sistema di spartizione del potere? Di fronte a questa domanda, c’è il dribbling ad aiutare chi è in difficoltà.
È vero, dunque, che questa sinistra non ha né i numeri, né una strategia per opporsi al governo in modo tale da farlo cadere; ma è anche fuor di dubbio il principio che la destra, oggi, non si comporta come si dovrebbe dinanzi ad una situazione assai pericolosa per l’Europa e naturalmente per il nostro Paese.
Lite continua nel campo Meloni
Nemmeno nell’alleanza che fa capo a Giorgia Meloni si respira un’aria tranquilla: non mancano i distinguo, i si e i no, in specie quando si tratta di problemi che non possono essere rimandati.
Possibile che Matteo Salvini e Antonio Taiani non si rendano conto del male che stanno facendo alla maggioranza? Se gli ultimi sondaggi danno un calo non vistoso dei Fratelli d’Italia una ragione ci sarà. Si replica: che cosa c’entra il partito della premier con questa flessione? Ne risente, perché la gente è stanca di litigi e di risse che si susseguono tra tutte le forze politiche.
Così quando vede che anche nel governo le posizioni sono diverse, finisce col non credere più a niente e, magari, abbandona pure quegli uomini o quelle donne in cui hanno creduto fidandosi delle loro promesse.
Adesso, guardiamo con molta apprensione il calendario: il 25 aprile, festa della Liberazione, non è lontano. Che cosa succederà quel giorno? Si avrà un minimo di unità o si continuerà a polemizzare e a usare parole che aumenteranno la tensione? Pessimisti o ottimisti?
Speriamo nel buon senso e nella ragionevolezza, due principi che sono appannaggio del pensiero di Sergio Mattarella. Anche ieri, infatti, ha voluto ricordare i guai che potrebbero derivare dall’introduzione dei dazi. “Penalizzano i fattori di qualità, sono inaccettabili”.
Come incomprensibili sono le crepe tra i due vice premier, tanto che i maligni sostengono che oggi in Italia ci sono due ministri degli Esteri, Meloni a parte.
Si getta acqua sul fuoco: Forza Italia, in primis il vice presidente della Camera Giorgio Mulè, si dice convinto che il termine “quaquaraquà” (usato dal ministro degli esteri contro il suo collega responsabile delle infrastrutture) non sia così deplorevole come appare.
Si risponde: che cosa avrebbe potuto dire di più sgradevole? Mulè sorride e replica: “I leghisti abbaiano, ma non mordono”.
A parte i salvataggi in corner, esistono situazioni che vanno sanate al più presto. E’ di ieri la notizia che l’Italia ha i salari più bassi nel G20. In quindici anni sono calati dell’otto per cento. Con qualche virgola in più. Mentre il carrello della spesa diventa sempre più caro e comprare il necessario è assai arduo.
Eccoli i grandi interrogativi che si deve porre la politica. Altro che Il Manifesto di Ventotene, altro che la bagarre che si è aperta sulla difesa dell’Europa. Con i bilanci familiari non si scherza, perché per decine di migliaia di famiglie arrivare alla fine del mese è una vera e propria impresa.