Come si fa a fare la storia se nella casa comune ci sono alleati che litigano un giorno si e l’altro pure? Giorgia Meloni è ottimista, per lei il governo di centro destra sta cambiando il volto dell’Italia, ma non può fare a meno di accorgersi che due dei suoi vicinissimi si guardano spesso in cagnesco.
Si chiamano Matteo Salvini e Antonio Tajani. La più recente e l’ultima delle disfide riguarda la tassa sugli extraprofitti delle banche. Il segretario della Lega è favorevole, aggiunge che è indispensabile; mentre il numero uno di Forza Italia replica: “E’ roba da Unione Sovietica”.
Meloni e l’ombra di Berlusconi
E’ chiaro che “l’erede” di Silvio Berlusconi non può darsi la zappa sui piedi se in casa ha una banca che si chiama Mediolanum. L’istituto di credito è assai vicino (eufemismo) alla famiglia del Cavaliere, perciò il bell’Antonio si adegua, non può comportarsi diversamente. Pena un addio alla carica che ha oggi. Se fosse l’unico diverbio si potrebbe anche pensare che il dissidio sarà facilmente superabile.
A parole tutto diventa più facile, ma quando poi si tratta di affrontare la situazione non è così semplice come si potrebbe ritenere. I Se gli ottimisti sostengono che il problema non è poi così determinante eccone subito un altro che non è di poco conto: lo ius scholae che Salvini respinge senza pensarci un attimo, mentre Tajani è favorevole all’iniziativa che parte dalla sinistra.
Ius scholae o frontiere di ferro?
Che dire allora? Semplice: si presenta una legge che si discosta da quella della minoranza, ma in fondo è la stessa cosa. “Non possiamo andare contro al progresso, i tempi non si fermano e noi dobbiamo adeguarci, altrimenti ci facciamo travolgere dalla storia”, dice il berlusconissimo. Più categorico di così il ministro degli Esteri non potrebbe essere. Se a questo punto agli esponenti del Carroccio viene la nausea è perché siamo dinanzi ad un problema che assomiglia molto a quello dei migranti. Una “questione” per cui la magistratura, meglio un pm, ha chiesto una condanna di sette anni per Salvini. Si potrebbe rispondere: i due casi sono lontani un miglio, ma non è così perché si tratta sempre di stranieri che vivono o sperano di vivere nel nostro Paese.
Sul tavolo della premier, ci sono i due carteggi, si potrà arrivare ad un concordato, ad un denominatore comune? Certo se il nodo dovesse rimanere, non sarà facile per la Meloni trovare un punto d’incontro. Qui sorge quindi la domanda che ci siamo posti all’inizio: come si può fare la storia (concetto di Giorgia) se su alcuni punti di estrema importanza due alleati la pensano in modo diametralmente opposto?
E’ questo l’interrogativo che manda ai matti il nostro presidente del consiglio. Ci sono voluti decenni per portare la destra al governo, per di più guidato da una donna (è la prima volta che avviene nella storia d’Italia). Ed invece di lavorare tutti insieme per progredire e mandare avanti la barca senza il pericolo dei marosi, ci si azzuffa dinanzi a problemi che potrebbero essere superati con facilità se prevalesse il raziocinio. “Parlare di meno e lavorare di più”: questo è uno degli slogan preferiti da Giorgia Meloni.
Fatti e non parole, insomma. Al contrario, si pensa sopratutto al proprio orticello ed a come prendere una preferenza in più. Secondi o terzi dietro Fratelli d’Italia è così importante Certamente, perché il peso specifico che si avrebbe nel governo sarebbe molto più rilevante. Allora, se un principio del genere non sarà superato con le buone o con le cattive (pericolo di nuove elezioni lanciato in modo sotterraneo da Giorgia), la storia, quella vera ed essenziale, rimarrà quella di sempre. Ed i sogni della Meloni rimarrebbero nel cassetto. Al pari di quelli dei due vice premier. Concetto chiaro che dovrà essere digerito.