Che cosa succede al ministero della Cultura? Gli scandali sembrano tormentare quello che dovrebbe essere il tempio e la cassaforte del patrimonio culturale e artistico italiano.
Favoritismi o amichettismi sembrano dilagare. Ma c’è di più: si sconfina nel maritismo, la novità dei dirigenti omosessuali che affidano incarichi pubblici di rilievo al compagno, limite cui finora gli etero non si erano mai spinti.
Il tema è scivoloso dato il clima di intimidazione della lobby gay e lgbt e dato anche il rischio di finire sotto l’accusa di omofobia.
Un bel quadretto è rappresentato dal Manifesto in due articoli che, con onestà, non ignorano che non è tutta colpa del Governo Meloni. Negli ultimi 30 anni il ministero è stato feudo del Pd, segnatamente con Veltroni, Melandri e Franceschini. Ma non si era mai arrivati, almeno al vertice, alla intronazione di mogli e mariti.
Il degrado dell’istituzione cui è affidato il patrimonio del paese non è cominciato con Sangiuliano e nemmeno con Sgarbi. Ma i nuovi potenti ci si ritrovano alla perfezione, constata Valentina Porcheddu sul Manifesto di domenica /7 ottobre 2027.
Il degrado del ministero della Cultura – istituzione che dovrebbe tutelare e promuovere il patrimonio del paese, in tutte le sue forme, nell’interesse pubblico – non l’abbiamo scoperto con l’ondata di dimissioni partita a febbraio con la «resa» del sottosegretario Sgarbi.
Neppure il caso Boccia, che ha segnato la fine del ministro Sangiuliano, può considerarsi il culmine delle vergogne di un dicastero scosso nelle ultime settimane dalle dimissioni del capo di gabinetto Spano, nominato dal neo-ministro Giuli il 14 ottobre e durato, appunto, come una meteora.
Proprio le vicende di Spano – accusato anch’egli di conflitto d’interessi per l’assegnazione di un contratto di consulenza al Maxxi in favore del compagno (Marco Carnabuci, con cui si è poi unito civilmente) mentre era segretario generale del museo durante la presidenza di Giuli, hanno tolto il velo alla menzogna di un’azione moralizzatrice del governo di destra. Il cui obiettivo è stato da subito identificato nel sovvertimento dell’egemonia culturale della sinistra, intesa non solo come principi ideologici ma anche come modus operandi. Spano è stato infatti introdotto al Maxxi nel 2022 dall’allora presidente Giovanna Melandri, dopo aver ricoperto il ruolo di direttore dell’Unar, l’ufficio antidiscriminazioni razziali della presidenza del Consiglio dei ministri durante il governo Gentiloni.
Anche il millantato spoil system annunciato a più riprese da Sangiuliano si è rivelato un bluff. L’ex ministro ha sostanzialmente mantenuto attorno a sé i dirigenti scelti dal suo predecessore Franceschini. Alcuni di essi, come Alfonsina Russo e Luigi La Rocca, sono stati addirittura promossi al vertice di due dei quattro dipartimenti (rispettivamente il DiVa-Dipartimento per la valorizzazione del patrimonio culturale e il DiT- Dipartimento per la tutela del patrimonio culturale e del paesaggio) istituiti con la riorganizzazione del ministero entrata in vigore lo scorso maggio. Una riforma che moltiplica le poltrone e appesantisce la macchina burocratica, senza apportare reali miglioramenti alla gestione delle attività culturali e di un vasto e variegato patrimonio che continua a essere alle mercé di lotte partitiche e interessi privatistici.
Oltre alla controversa nomina dei quindici esperti della commissione Cinema (parzialmente sconfessati da Giuli), un esempio della deriva in cui si trova il MiC è dato dalla gestione dei parchi e dei musei archeologici autonomi, stretti tra le maglie di un carrierismo perverso legato a nomine fiduciarie non basate sulla competenza e da politiche di valorizzazione che esasperano l’aspetto commerciale (entrambi retaggi franceschiniani), generando incassi da reinvestire solo idealmente nella tutela e incrementando invece un giro di affari estraneo alle finalità dei musei. Basti citare, a questo proposito, gli acquisti spericolati di opere d’arte contemporanea al museo delle Civiltà di Roma e lo showroom di Bulgari al museo Nazionale Romano.
In tale clima di anarchia (o di oligarchia) continua a imperversare il direttore generale dei musei Massimo Osanna, nominato da Franceschini nel 2020 dopo essere stato alla guida del Parco archeologico di Pompei (dove era arrivato nel 2014 come «soprintendente speciale» grazie all’appoggio dell’allora ministro Bray), confermato nel settembre del 2023 da Sangiuliano – che gli ha però negato la promozione a capo dipartimento – e ora al servizio del ministro Giuli.
Nella prolungata attesa del bando per la scelta del nuovo direttore, Osanna esercita dunque il pieno controllo del «Mann», utile come bacino di risorse per operazioni di immagine o di consolidamento del potere di influenza ottenuto grazie alla presenza di suoi fedelissimi in posti chiave per l’archeologia.
Cultura, al ministero dirigenti e promozioni tra amicizie e affinità è il titolo dell’articolo di Luciana Cimino, che ricorda come Ispettori e Anac hanno segnalato anomalie nella gestione della direzione generale dei Musei, ignorate da Sangiuliano.
La mancata nomina a titolo gratuito di Maria Rosaria Boccia, causa delle dimissioni del ministro Gennaro Sangiuliano, e la rinuncia del capo di gabinetto Francesco Spano (che rischia di innescare l’uscita dell’attuale ministro Alessandro Giuli che lo ha voluto a dispetto di Fdi).
Il caso Boccia e il caso Spano, sottolinea CimIno, hanno nascosto un altro giro di nomine concesse per ragioni amicali o affettive. Molto più radicato e pervasivo dei casi finiti nelle cronache politiche degli ultimi mesi.
Un sistema, peraltro, messo nero su bianco dalle segnalazioni dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) e da un rapporto ispettivo interno e che, anziché essere sanzionato, ha continuato a proliferare per l’inerzia di Sangiuliano. E oggi prosegue grazie all’impasse in cui è precipitato il Collegio Romano. Dalla relazione degli ispettori del Mic del 2023, poi avallata dall’Anac nel febbraio 2024, emergono le modalità con cui sono avvenute molte nomine e affidamenti degli incarichi al ministero.
I casi segnalati dipendono dalla direzione generale Musei che dal 2020 (con il ministro dem Franceschini) è guidata da Massimo Osanna, docente universitario e manager culturale. Sangiuliano non l’ha rimosso anche perché, intanto, il dg si sperticava in lodi per la riforma del ministero della destra e soprattutto perché nel corso degli anni ha saputo innestare un sapiente sistema piramidale di nomine di cui lui rappresenta l’apice: funzionari e dipendenti di reti museali territoriali o parchi archeologici periferici assunti da persone che, a loro volta, devono la nomina a qualcuno che fa riferimento a Osanna.
Una fitta e potente rete di conflitti di interesse e intrecci personali che assegna, riceve e gestisce le risorse per gli eventi culturali (comprese quelle del Pnrr) e che è stata più volte oggetto di attenzione da parte della Corte dei Conti. In particolare, la relazione evidenzia la non conformità di alcune nomine.
Poi ci sono altre nomine, ad esempio quella di Luigi Gallo, molto legato a Osanna, a direttore della direzione generale delle Marche e della Galleria Nazionale Marche; di Enrico Rinaldi, già collaboratore del dg e membro del suo staff, a direttore del Parco di Sepino e della direzione Molise; di Luca Mercuri, oggi dirigente del Servizio III della dg Musei.
Inoltre contesta ad Antonio Lucianelli, avvocato e dipendente Ales, anch’egli già membro dello staff di Osanna, di aver ottenuto un incarico di consulenza da 8mila euro al mese grazie a una «commissione di valutazione senza dubbio composta da persone legate da un consolidato rapporto di lavoro fiduciario con il dg Osanna», come si legge nella relazione. Per alcuni di questi casi si era mossa anche la Corte dei Conti che aveva invitato il ministero «per il futuro a voler meglio esplicitare il percorso motivazionale che ha condotto alla scelta finale» dei promossi.
Poi ci sono anche altre nomine, non contestate da Anac, ma avvenute con la stessa modalità di selezione tra amici, affini e collaboratori personali. Gli ispettori del ministero hanno anche segnalato «forti criticità relazionali e disfunzionalità comunicative» nella direzione generale e il presunto conflitto d’interesse con Urban Vision, società leader per i restauri sponsorizzati di edifici, opere d’arte e monumenti. Amministratore delegato dell’impresa è Gianluca De Marchi che ha spostato Osanna con una cerimonia hollywoodiana qualche anno fa con personalità di primo piano del settore culturale nazionale.
Osanna con gli ispettori aveva negato il conferimento di qualsiasi appalto all’azienda di suo marito. Nonostante ciò Urban Vision è incappata in un clamoroso incidente di comunicazione: nel 2023 ha organizzato un evento per il marchio di lusso Bottega Veneta, che fa parte del gruppo Kering guidato da François-Henri Pinault, marito dell’attrice Salma Hayek, entrambi presenti al matrimonio Osanna – De Marchi.
Per l’occasione la società ha ottenuto il prestito dei Corridori di Ercolano, una coppia di statue bronzee risalente al I secolo d.C. dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli e le Forme Uniche della Continuità nello Spazio di Umberto Boccioni dalla Galleria Nazionale di Cosenza. Opere dell’elevato valore storico artistico tolte ai musei per l’intrattenimento di ricchi privati. La notizia suscitò grandi polemiche con Osanna sospettato di aver facilitato i prestiti.
Tutto dimenticato: questo per la Urban Vision è un momento d’oro. I lavori per l’Anno Santo hanno reso la Capitale tutta un cantiere e su molti di quei cantieri gli schermi pubblicitari sono firmati dalla ditta di De Marchi. Urban Vision ha anche una partnership ufficiale con il Vaticano per «offrire soluzioni tecnologiche innovative dedicate alla valorizzazione degli spazi urbani a supporto del Giubileo».