Chisinau, Moldavia, più di 20 anni dopo, una città profondamente cambiata. Te ne accorgi già alla frontiera.
Non ti attendono più i doganieri truci che si rigiravano tra le mani il tuo passaporto prima di apporvi il visto, aspettando che allungassi loro 5 dollari.
Adesso entri senza visto e al più una graziosa poliziotta ti chiede, stupita, che sei venuto a fare in questo sperduto angolo d’Europa e poi ti liquida con un sorriso.
Il glorioso hotel National, dalla inconfondibile sagoma sovietica, unico albergo all’epoca decente, è un ammasso di macerie.
All’interno vi si consumavano i classici loschi, e a volte divertenti, traffici dell’economia post-sovietica.
Fino a quando non interveniva la polizia a mettere fine ai negoziati portando via gli sventurati sulle camionette che giravano incessantemente per la città “oscura e maledetta”, come ebbe a definirla Puskin.
Fuori dall’albergo invece decine di uomini giovani e meno giovani intanto aspettavano chiunque avesse un’aria vagamente occidentale, per proporsi come tour operator: un giro per la città destinato a concludersi con l’immancabile mercato di memorabilia del socialismo reale dove in effetti potevi trovare cose interessanti.
La via Puskin e l’arteria dedicata all’eroe nazionale Stefano il Grande non erano le moderne aree commerciali che sono diventate poi.
Negozi alla moda hanno sostituito le malandate bottegucce che si alternavano ai palazzi del Potere, sedi delle istituzioni politiche, giudiziarie e militari.
All’angolo tra Stefano il Grande e Puskin, l’arco di trionfo, costruito nel 1840 per celebrare la vittoria contro gli Ottomani nella guerra russo-turca del 1828-29, è stato restaurato.
E’ l’ingresso al Parco Centrale, ora come allora affollato da giovani coppie con bambini, una immagine frequente e rinfrancante nell’Europa orientale
Il mercato di Piata Centrala è sempre lì, il tipico bazar dei Paesi dell’est, che si distingue da quelli delle altre città ex sovietiche per i tanti fiori e la frutta che si possono trovare a queste latitudini e non certo altrove, nell’ex URSS.
Chişinău, città di teatri e di enoteche, ha cambiato volto, riappropriandosi delle proprie tradizioni.
Nei secoli, i confini incerti della Moldavia hanno rappresentato la sua ricchezza.
Il patto segreto Molotov-Ribbentrop prevedeva anche l’annessione della Bessarabia (l’attuale Moldavia) ai vecchi confini della Russia zarista.
Ciò determinó la nascita della Repubblica Socialista sovietica di Moldavia, durata 50 anni, una entità fittizia, abitata da rumeni, russi, ucraini, turchi, tedeschi, frutto della sconfitta dell’Asse durante la seconda guerra mondiale.
La russificazione degli Stati “fratelli” voluta da Stalin fu realizzata in Moldavia attraverso le deportazioni dei siberiani, insediatisi soprattutto in Transnistria, autoproclamatasi repubblica indipendente, ma riconosciuta solo dalla Russia, attualmente al centro dell’attenzione internazionale perché sede di oltre 2.000 militari russi in un’area strategica stretta tra l’Ucraina e il confine occidentale rappresentato dal fiume Dnestr, che la divide dalla Moldavia.
Dal 1990 la Moldavia si è dichiarata indipendente e come tale riconosciuta dalla comunità internazionale e sembra fermamente intenzionata a spiccare il volo verso l’Europa, ottenendo di recente lo status di candidato al partneriato UE.
Appena pochi giorni fa, ha adottato come lingua ufficiale il rumeno (lingua dell’UE), eliminando il moldavo, che altro non era che la traslitterazione del dialetto rumeno dell’est in caratteri cirillici, registrando il plauso dell’accademia della Scienza Moldava e le proteste della solita Maria Zhakarova, portavoce del Ministero degli Esteri russo.
Tuttavia la narrazione occidentale secondo cui la Moldavia sarebbe preda, in questi ultimi tempi, degli appetiti russi non trova molto credito qui.
Ilan Șor, finanziere ebreo condannato per frode fiscale e rifugiato in Israele, fondatore di un partito che porta il suo nome, ormai messo fuori legge e Vladimir Plahotniuc, rifugiatosi in Turchia dopo diverse condanne penali dei tribunali moldavi, ritenuti cospiratori filo-russi, in realtà altro non sono che oligarchi locali attenti più che altro ai propri interessi, insomma un ostacolo per la Presidente Maia Sandu nel percorso verso l’adesione alla UE, per l’esigenza che ha di combattere la corruzione interna.
Probabile che i timori evocati dal Governo moldavo (e dai servizi segreti di Zelenskij) con l’annullamento unilaterale da parte di Putin del trattato che riconosceva la piena sovranità di Chişinău – paventando così il rischio di uno scenario simile a quello ucraino – siano infondati.
Tuttavia non è che a Kiev fino al 23 febbraio dello scorso anno, ci credessero tanto a quello che sarebbe successo il giorno dopo.
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